Alessandra Aiardo è una giovane designer partenopea.
Nasce a Torino per poi trasferirsi a Napoli dove frequenta l’Accademia di Belle Arti.
Appassionata fin da piccola di arte e di moda, inizia a dipingere corpi nudi, esplosivi ed audaci che, col passare del tempo, diventano un dolce contenitore di oggetti: un monile, un merletto, una scarpa.
I suoi quadri ricevono anche un riscontro critico molto positivo, ma è solo l’inizio di un percorso proteso alla ricerca della bellezza che si svilupperà su strade diverse.
Gli stessi corpi dipinti, amati e odiati, iniziano a trovare una dimensione diversa, più reale, meno deformata dall’immaginario, iniziano cioè a diventare un ornamento.
“Ho iniziato così un nuovo percorso, armandomi di idee, coraggio, pinze e oro.”
È lei stessa a dar vita a questo nuovo modo di vivere e sentire l’arte: più aperto, più gioioso, più gentile.
“Un gioiello racconta una possibilità di bellezza impreziosendo la meraviglia di un corpo e diventando al contempo segno di cultura sulla natura umana, un segno che distingue una donna restituendole il valore di cui è fatta.”
Ogni gioiello è realizzato a mano seguendo i dettami del made in Italy, variando dai materiali più duttili come l’ottone e pietre dure a materiali nobili come oro, argento e pietre preziose.
Rappresenta un momento di condivisione tra chi lo crea e chi lo sceglie, una sorta di fisica quantistica che vede gli interessati convergere tutti verso uno stesso punto.
Uno ready made duchampiano, un valore aggiunto che fa del gioiello stesso un argomento di conversazione più profondo di quanto appare.
La materia stessa dell’oggetto, di chiara ispirazione neo romantica, lascia trasparire quello che è il rapporto di odio/amore con il corpo umano, l’accenno di borchia si fa essenza stessa di un panismo ripreso poi in seguito nelle forme abbozzate di un liberty post moderno e reso essenziale, ripreso dal mix di materiali che unisce pietre dure e metalli in forme stilizzate e allungate che si protendono come racemi vegetali di un mosaico o dai colori di una lampada Tiffany, dalle Giuditte klimtiane, al design Déco, alle vetrate bizantine, alla leggerezza di Mirò all’eleganza di Veronica Lake, dalla sfacciataggine di Chanel all’unicità di Edit Piaf.
“Vedere La morte di Ofelia al Metropolitan mi ha sciolto il cuore, aperto la mente e attivato le sinapsi dell’atto creativo. Sconvolgente. Una come me, amante di tutto ciò che è modernariato, filosoficamente parlando, estasiata dinanzi a quanto di più classico e tradizionale ci possa essere.”
L’ennesima dimostrazione di quanto la comprensione profonda data dall’arte ci elevi e ci ponga nella condizione di riconoscere ciò che realmente fa per noi.