Il Cile (ri)diventa protagonista della Biennale d’Architettura di Venezia. Se alla scorsa edizione si era aggiudicato il Leone d’Argento con il padiglione “Monolith Controversies” ad opera di Pedro Alonso e Hugo Palmarola, la direzione della 15a Mostra Internazionale di Architettura di Venezia è stata affidata al (relativamente) giovane architetto cileno Alejandro Aravena.
Nato nel 1967 in Cile, Aravena non è estraneo alla realtà veneziana: nel 1991, a un anno dalla laurea, partecipa al Premio Venezia della 5. Biennale di Architettura. Nel 1993 ha studiato Storia e Teoria allo IUAV e incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, mentre parte del suo lavoro svolto con lo studio omonimo fondato nel 1994 è esposto alle Biennali del 2008 (dove viene insignito del Leone d’Argento) e del 2012. Pluripremiato, membro della giuria del Pritzker Price dal 2009 e insegnante all’Università Cattolica del Cile dal 1994 e ad Harvard dal 2000 al 2005, è conosciuto principalmente per l’operato svolto con Elemental, collettivo fondato nel 2006 ad Harvard assieme all’ingegnere Andres Iacobelli, in partnership con la compagnia petrolifera cilena COPEC e con la Pontificia Universidad Católica de Chile. Tale iniziativa – il cui principale programma prende il nome di Urban Do Tank – nasce con l’intento di realizzare interventi urbani di edilizia sociale pubblica, nel quadro del programma VSDsD (Vivienda Social Dinamica sin Deuda), approvato dal Ministero per la Casa e l’Urbanistica di Cile.
A seguito delle scorse edizioni, dirette da archistar come la Sejima, Chipperfield e Koolhaas – l’ultimo dei quali aveva comunque cercato di sondare l’hummus delle pratiche portate avanti da nomi non scontati, sebbene con un approccio molto teorico e poco pratico – quello che è uno degli eventi di maggior risonanza a livello mondiale nell’ambito dell’architettura si mette finalmente nelle mani di un volto nuovo – eppure affermato – che si spera possa apportare uno sguardo fresco ma forse anche più consapevole nei confronti della grande questione che era mancata nell’ultima edizione: cosa succede oggi nel mondo dell’architettura.
Rispetto alla nomina del Consiglio di amministrazione della Biennale, riunitosi lo scorso 18 luglio, l’economista e ex-ministro Paolo Baratta, alla seconda presidenza della Biennale dal 2008 ad oggi, afferma:
“Dopo la grande Biennale di ricerca sviluppata da Rem Koolhaas, e interamente dedicata alla ricerca del curatore, si ritiene di dover dar vita a una Biennale che convochi gli architetti e dedicata all’indagine sulla frontiera delle realizzazioni che dimostrano la vitalità dell’architettura, frontiera che attraversa varie parti del mondo e che vede l’architettura impegnata a dare precise risposte a precise domande. Una Biennale che intenda ancora una volta reagire allo scollamento tra architettura e società civile, che nel corso degli ultimi decenni ha portato da un lato alla spettacolarizzazione dell’architettura e dall’altro alla rinuncia della stessa. Alejandro Aravena ci appare, tra gli architetti della nuova generazione, quello più in grado di raccontarci queste realtà e di scoprirne la vitalità.”
In occasione della nomina, Aravena stesso ha invece dichiarato quanto segue:
“Ci sono numerose battaglie che devono ancora essere vinte e molte frontiere che devono necessariamente espandersi per migliorare la qualità dell’ambiente edificato e, di conseguenza, per migliorare la qualità della vita delle persone. Questo è quello che vorremmo la gente venisse a vedere alla 15. Mostra Internazionale di Architettura: storie di successo che meritano di essere raccontate, casi esemplari che vale la pena condividere e in cui l’architettura ha fatto, sta facendo e dove farà la differenza in queste battaglie e per queste frontiere.
La 15. Mostra Internazionale di Architettura si concentrerà e imparerà dalle architetture che attraverso l’intelligenza, l’intuizione o entrambe allo stesso tempo, sono capaci di scostarsi dallo status quo. Vorremmo presentare degli esempi che, nonostante le difficoltà, invece di rassegnazione e amarezza, propongano di agire. Vorremmo dimostrare che in un dibattito costante centrato sulle qualità di un ambiente edificabile, risiede non solo la necessità ma anche l’occasione per l’azione.”
In una realtà in cui l’architettura sembra più volte ridursi a immagini patinate e glamour, bulimicamente fruite attraverso le piattaforme virtuali, non si può non nutrire un’eccitante curiosità nei confronti di ciò che dobbiamo aspettarci da una biennale diretta da una figura che, parlando dei suoi progetti ad una conferenza Ted, sottolinea in maniera molto disincantata come “it’s not about technology, this is just archaic, primitive common sense […], with the right decision sustainability is nothing but rigorous use of common sense” .
Nonostante, come abbia affermato Davide Tommaso Ferrando in un’introduzione ad una delle tante critiche all’ultima biennale, quella di Koolhaas sia stata un momento di stasi funzionale in ogni caso all’assestamento che precede l’emergere di nuove energie, il tempo ci dirà se quest’ultima sia stata il canto del cigno del prepotente protagonismo condiviso dalla generazione di architetti a lui coeva.