Il primo impatto che suscitano le rappresentazioni di Xavier Delory è quel leggero senso di vertigine alimentato dal dubbio se ciò che vi si osserva abbia in qualche modo a che fare con la realtà o meno. Per quanto le riviste patinate e il web ci abbiano abituati ad aspettarci quasi l’impossibile dai progressi tecnologici, è sufficiente un secondo sguardo un po’ più attento e, scorrendo le immagini, ci si rende conto che gli slanciati e sottilissimi protagonisti delle immagini sono delle manipolazioni elaborate a partire dalla realtà.
Il fotografo belga, architetto di formazione, duplica, piega, monta assieme, appiattisce le facciate degli edifici riducendoli a pura scenografia. Come attori dello spazio che essi stessi mimano in una negazione portata all’estremo dello spazio e della propria funzione.
Formes Urbaines è un progetto intrapreso a partire dal 2010 con lo scopo di studiare le caratteristiche ricorrenti delle città moderne. Sebbene il campo d’indagine di questa ricerca sia interamente concentrato a Bruxelles, Delory ne plasma le componenti architettoniche fino a renderla una città irreale ma connotata di segni frequenti, linguaggio della città globale contemporanea.
In questo, come in altri progetti che ugualmente esplorano la città odierna nei suoi mutevoli archetipi e nella sua relazione con l’uomo contemporaneo, il fotografo adotta un approccio paragonabile a quello del suo conterraneo Magritte e, interferendo con pochi ma significativi ritocchi, restituisce un’immagine della città astratta e carica di quel sottile senso di disorientamento, lo stesso che rievocano certe rappresentazioni utopistiche quali, per esempio, la Città da tre milioni di abitanti di le Corbusier, il Golden Lane Project del ’52 degli Smithson o l’architettura radicale degli anni ’60 di Archizoom e Superstudio.