Tutti conosciamo la leggendaria storia che racconta di come il Babbà sia nato in maniera del tutto fortuita (in uno dei suoi attacchi di isteria, il re polacco Stanislao Leszczyński, scagliò il dolce contro una credenza, facendovi riversare una bottiglia di Rum).
Si potrebbe dire lo stesso di Zeren Badar che, a differenza del re Stanislao, può contare sul suo alquanto creativo e intuitivo carattere che gli ha permesso di ottenere “incidenti artistici” dal notevole impatto visivo. Newyorkese di origine turca, è sempre alla ricerca di oggetti e riviste, rigorosamente spulciati in qualche bazar occidentale “tutto a 99 cents”, che usa per assemblare le sue opere accidentali.
È proprio il caso di Accident Series, una serie di originali fotografie / incidenti dettati dal “semicaso” in cui Zeren fa suo il detto di Jasper Johns: “Take an object. Do something to it. Do something else to it”.
“Stavo scaricando da internet dei ritratti d’epoca e stavo studiando Duchamp. Un giorno torno a casa affamato e mentre mi preparo una frittata, l’uovo finisce su una di queste stampe. Mi è venuta in mente la Monnalisa a cui Duchamp fece i baffi. Così ho deciso di iniziare le “Accident Series”: un uovo rotto ha cambiato la mia carriera artistica.”
Zeren Badar
Per i suoi ready made fotografici, Zeren utilizza come sfondo le stampe di dipinti dei grandi maestri della storia dell’arte facendovi “accidentalmente” cadere sopra una omelette, delle caramelle, delle fette d’arancia e qualsiasi cosa abbia a disposizione.
Ed è proprio su questo interessante gioco bidimensionale, che la figura diventa anche sfondo, andando a creare una messa in scena ad hoc per nuove figure contaminatrici che invadono lo spazio. In questo modo Zaren va a sconvolgere le teorie della Gestalt e porta lo spettatore a porre la sua attenzione su più sfondi o più immagini.
L’artista piega così la sua serie:
“Le copie dei vecchi dipinti dei maestri rievocano inizialmente la memoria degli spettatori. Utilizzando invece giustapposizioni inaspettate di oggetti, provo a creare ambiguità e tirare fuori l’attenzione profonda del pubblico nei confronti delle mie fotografie.”