Un outsider si individua da subito, sebbene sociologi come Howard S. Becker non siano ancora riusciti a capire fino in fondo cosa spinge tali personaggi a distinguersi dalla “folla” e non seguire i canoni di una vita normale. E’ il caso di Duane Michals, statunitense, autodidatta (ci dice Kristine McKenna) e mancato graphic designer – ma abilissimo nel ritrarre, con un notevole slancio creativo e ironico, quei minuscoli particolari del nostro stare insieme che più colpiscono un artista- osservatore.
Michals nasce nel 1932 a McKeesport, una piccola città nel Pennsylvania. Si laurea nel 1953 alla University of Denver, ma il suo interesse per l’arte sfocia già al’età di 14 anni, quando frequentava corsi di pittura ad acquerello al Carnegie Institute di Pittsburgh. Dopo due anni di leva militare prova a fare i conti con la carriera del graphic designer, iscrivendosi alla Parsons School of Design e abbandonando gli studi pochi anni dopo.
Scopre il suo daemon per la fotografia nel 1958, durante un viaggio di piacere nell’Ex-USSR. I suoi scatti in formato reportage verranno esposti nel 1963 alla Underground Gallery di New York.
Inizia così la sua carriera di fotografo. Collabora con testate del calibro di Vogue, Esquire e Mademoiselle e le sue esposizioni vengono tutt’ora accolte dai maggiori musei e gallerie del mondo. Con gli anni entra in contatto – e ovviamente immortala artisti statunitensi del calibro di Andy Warhol, Renè Magritte, Balthus, David Hockney e Paul Cadmus e riesce a farsi commissionare alcune cover art di gruppi come i Bauhaus, i Police e Richard Barone. Nel 1988 celebra i suoi 30 anni di attività pubblicando il suo primo libro, Album.
Ciò che rende magica la fotografia di Duane Michals è il suo approccio interdisciplinare con essa. Non avendo un suo studio, inizia a ritrarre amici e conoscenti nei loro stessi ambienti interni, ricreando, con ogni scatto, uno scenario intimo ma al contempo ricco di significato. Sperimenta molto con la fotografia sequenziale, la doppia esposizione e l’apertura del diaframma, scegliendo di “commentare” la maggior parte dei suoi scatti con una penna, e conferendo così all’insieme dell’opera un’ulteriore valenza poetica.
L’ironia, il misticismo, il sogno, la metafotografia sono tematiche che lo tengono tutt’ora sveglio, riuscendo ancora oggi ad offrirci qualcosa che in pochi altri artisti sono riusciti a dipingere, usando tra l’altro soltanto la luce, una stilografica e un arnese tascabile con qualche bottone.