“Se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e largo tre, disposto con la pala a forma di piramide, ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto un uomo. Questa è architettura.”
Adolf Loos in Ornamento e delitto.
È molto più di un cumulo di terra il progetto della piramide di Francesco Venezia all’interno della mostra “Pompei e l’Europa. 1748-1943”, eppure non sono mancate le critiche a questa architettura.
La mostra, conclusasi a gennaio 2016, intende raccontare le suggestioni evocate dal sito archeologico di Pompei sugli artisti e nell’immaginario europeo, dall’inizio degli scavi nel 1748 al drammatico bombardamento del 1943. A promuovere la rassegna è stata la Soprintendenza Speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e la Direzione Generale del Grande Progetto Pompei, con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, organizzata da Electa e avente come curatori Massimo Osanna, Luigi Gallo e Maria Teresa Caracciolo.
L’allestimento, affidato all’architetto Francesco Venezia, prevede un percorso all’interno del Salone della Meridiana nel Museo Archeologico Nazionale per la mostra “Natura e Storia (1748-1943)” e la realizzazione della piramide nell’Anfiteatro di Pompei per le due esposizioni “Pompei e l’Europa. Rapiti alla morte. I calchi” e “Fotografare e documentare Pompei”. Il primo misura lo spazio del contenuto e del contenitore attraverso la progettazione di stanze dalle geometrie trapezoidali le quali conferiscono nuove proporzioni al salone percorso dalla lunga meridiana. Il secondo, all’interno dell’anfiteatro, consiste nella realizzazione ex-novo di una struttura piramidale provvisoria, nuova tomba per i calchi delle vittime dell’eruzione del 79 d.C..
Consuetudine dell’architetto è quella di rapportarsi con l’antico, pur affrontando autonomamente le intenzionalità progettuali. Un elemento onirico ed estraneo ai luoghi insiste in uno dei due fuochi dell’ellisse dell’arena romana. Quasi interamente in legno, ad eccezione della cupola in cartongesso, la piramide alta 12 m rievoca due immagini: il Vulcano che seppellì Pompei ed Ercolano, e le piramidi egizie, care a Francesco Venezia, in onore del tempio di Iside a Pompei, primo tempio riscoperto che contribuì a diffondere il gusto egizio in Europa ancor prima delle campagne napoleoniche.
All’interno, come risucchiati dalla bocca del vulcano, i venti calchi, immortalati nell’attimo di vita che ha preceduto l’eruzione, sono custoditi in un grande bacino. Sull’intera parete circostante sono esposte, sottoforma di frammenti, le fotografie d’archivio che documentano i lavori negli scavi tra ‘800 e ‘900 .
“Ci troviamo davanti ad una vita, diciamo, conclusa in pochi attimi, una vita che è espressa dall’ultimo gesto, dall’ultima forma che il corpo ha assunto in un momento così tragico. E quindi li ho immaginati in una sorta di fossa al di sotto di questa grande volta: lo spazio è anulare, lo spazio è circolare.”
In analogia al progetto di Étienne-Louis Boullée per il Cenotafio di Turenne, Francesco Venezia realizza una struttura all’interno di una struttura: nel contesto dell’arena ellittica, da una forma di origine egizia apparentemente massiva quale è la piramide , ci si introietta in uno spazio cavo a cupola tipicamente romano in cui la luce come nel Salone della meridiana riveste un ruolo fondamentale. In alternanza all’ illuminazione soffusa costante, ogni giorno, per la durata di un’ora e mezza, si staglia sui corpi carbonizzati un raggio di luce che sembra penetrare dal cratere del vulcano.
La complessità dello spazio interno si muta all’esterno in una purezza di forme che disegna una nuova linea del profilo del paesaggio. L’alternarsi ed il distinguersi di forme, materiali e colori, fanno riflettere sull’approccio dell’intervento moderno in un contesto così antico ed intoccabile. La massività della pietra e la deperibilità del legno, l’ispirazione egizia e la cultura romana, le mille sfumature di un paesaggio archeologico e la semplicità cromatica del giallo oro, l’antico ed il moderno, lo scavo e l’allestimento, la conservazione e la progettazione, in questo luogo si incontrano per dare vita ad un intervento surreale costituito da due mondi così come la figura straordinaria del centauro è composta da due metà ordinarie, un cavallo e un uomo. E’ lo stesso Venezia a definire la sua architettura monstrum,
“ovvero del mostro, che è una espressione e una definizione galileiana, del grande Galileo Galilei, cioè vale a dire qualcosa che trova il suo interesse nella compartecipazione di parti normali.”
L’interesse dell’architetto campano sta nel distaccarsi dal contesto tanto delicato e sensibile dell’ambito archeologico realizzando un progetto che non intacchi la materia dei luoghi, dove l’installazione è allo stesso tempo leggera nei materiali ma imponente per il suo linguaggio formale-architettonico.
A vantaggio del buon esito la temporaneità della mostra permette di rapportarsi molto più liberamente al progetto, svincolandosi dai più severi limiti previsti per la realizzazione di una struttura permanente. Eppure l’installazione, che doveva essere smantellata alla fine della mostra, oggi ospita un’altra esposizione. Ad influire saranno state sicuramente le critiche accompagnate dai positivi consensi ma il primo merito va alla grande abilità di Francesco Venezia nel distaccarsi e ricongiungersi simultaneamente con le importanti preesistenze, la tradizione, l’archeologia e il paesaggio.
Recap:
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Piazza Museo Nazionale, 19
Aperto tutti i giorni
dalle 9.00 alle 19.30
Chiusura settimanale: martedì
Scavi di Pompei, Anfiteatro
Aperto tutti i giorni
dalle 9,00 alle 19.30
ultimo ingresso alle 18.00
dalle 8.30 alle 17.00
1 e 2 novembre
ultimo ingresso alle 15.30