Nel 1888 Erik Satie, stravagante pianista francese mai sceso a patti con la critica e le autorità di quegli anni creava una delle sue composizioni più famose, le Trois Gymnopédies; numero non casuale il tre, probabilmente una reliquia simbolica derivante dalla sua appartenenza all’Ordine cabalistico dei Rosacroce, o semplicemente un richiamo alla perfezione, e non soltanto un vezzo formale.
La perfezione, la chiarezza compositiva, le qualità formali e costruttive sicuramente erano gli obiettivi progettuali di Konstantin Stepanovic Melnikov (Mosca 1890-1974), pittore e architetto, uno dei precursori del costruttivismo russo e forse autore più audace della sua epoca, rigoroso nelle forme e intrepido allo stesso tempo. Angoli acuti, forme cristalline e intersezioni di volumi spigolosi, caratteristiche ben visibili in ciò che ci è pervenuto del suo progetto per il padiglione russo all’esposizione parigina del 1925, peculiarità che gli costarono l’accusa di “eccessivo formalismo” da parte del sindacato degli architetti sovietici, e che pose fine alla sua carriera nel 1937. Relativamente poche furono le note scandite da Melnikov nel corso della sua vita e ben poco ci è pervenuto della sua attività, ma degni di citazione sono i suoi progetti per il Club Rusakov a Mosca (1927), casa Melnikov (1929) e lo stadio di Mosca (1930) in seguito demolito, e soltanto recentemente attribuito a lui.
Padiglione URSS – 1925
“Mi sono consumato nel rombo risonante della natura, che a me affluiva da profondità remote, come attraversando una foresta; [mentre lavoravo], meccanismi autodeterminanti si fermarono, e le masse che si innalzavano sull’insignificante grandezza del padiglione esaltarono l’architettura con un linguaggio nuovo, il linguaggio dell’espressione.”
Kostantin S. Melnikov