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Produzione collettiva. Questo è il fondamento della pubblicazione condotta dagli architetti e ricercatori Angela Gigliotti e Troels Rugbjerg, entrambi professori alla Aarhus School of Architecture (AAA). Le loro strade si incontrano nel corso opzionale di Storia e Teoria dove sono chiamati a scegliere un tema comune di insegnamento. Da questo confronto e dalle loro ricerche personali è nato Utzonia, un libro che, come suggerisce il titolo, è la rappresentazione visionaria di una città utopistica composta da quattordici architetture esistenti realizzate da Jørn Utzon, sette in Danimarca e sette all’estero. Il lavoro è frutto della collaborazione attiva degli studenti del corso prima citato e del corso di Detailing and Sustainability in Scandinavian Architecture, tenuto precedentemente da Angela Gigliotti al DIS Copenhagen. Giovani architetti di differenti età e nazionalità si sono cimentati non solo nell’affrontare i temi dell’architettura ma anche nella pubblicazione di un libro di cui sono autori. Il testo è corredato dall’introduzione del Responsabile del Dipartimento Formazione della AAA, Rasmus Grønbæk Hansen, e dall’intervista all’architetto Fabio Gigone sulla sezione “Instructions and Manuals” da lui guidata dal 2007 al 2010 nella rivista Abitare.
Il risultato è una interpretazione fresca, libera e audace dell’eredità di uno dei più importanti maestri dell’architettura danese che vi presentiamo in questa intervista doppia ai curatori.
Come è nata l’idea del libro? Quando avete realizzato che la vostra ricerca necessitava di una pubblicazione?
Angela: Questo libro nasce da due diversi corsi opzionali: un corso di Storia e Teoria sviluppato da me e Troels alla Aarhus School of Architecture, Danimarca nel gennaio 2018 e il corso Detailing and Sustainability in Scandinavian Architecture che ho tenuto al DIS Copenhagen dalla primavera del 2016. A me e Troels è stato infatti chiesto di insegnare insieme per un workshop di un mese alla Aarhus School of Architecture. Ci conoscevamo a malapena, per cui abbiamo provato a trovare degli interessi in comune. Tra questi c’era il tema dell’importazione e dell’esportazione dell’architettura danese. Dal mio punto di vista, partivo con lo studio svolto per la ricerca di dottorato il cui scopo era indagare la professionalità danese, osservare le intersezioni tra i campi “architettura&lavoro” e “architettura&welfare state” e comprendere come le modalità della produzione architettonica si fossero sviluppate durante i “Gloriosi anni Trenta” e il Neoliberismo attuale. Stavo, inoltre, già lavorando su Jørn Utzon al DIS per guidare gli studenti allo studio dei disegni di dettaglio e dell’assonometria. Quando ho iniziato a collaborare con Troels, avevo già un bel po’ di disegni dei miei studenti del DIS da mettere sul tavolo.
Troels: Esatto, e in tutto questo ho individuato una interessante possibilità! Dal 2004 mi interesso di architettura del Medio Oriente e del Nord Africa: non sono il primo architetto danese ad interessarsi a queste regioni del mondo, la ricerca mi ha portato a studiare come gli architetti danesi abbiano imparato da queste aree – dall’architettura importata ed esportata insieme a tutti gli aspetti commerciali che essa comporta. In effetti, c’è un’interessante tradizione di architetti danesi che si formano all’estero, e non solo in Medio Oriente e Nord Africa. Utzon è una figura di spicco nell’ambito dell’importazione e dell’esportazione dell’architettura danese. Egli ha viaggiato in paesi stranieri per lasciarsi ispirare dall’architettura, tuttavia questo insieme di conoscenze era altamente personale e piuttosto difficile da descrivere e definire.
Scoprendo quello che faceva Angela insieme ai suoi studenti, abbiamo iniziato a sviluppare idee per un corso di storia e teoria che ha portato anche successivamente alla pubblicazione di questo libro. All’idea del tema dell’importazione e dell’esportazione dell’architettura ha contribuito anche il fatto che gli studenti di architettura di Angela provenissero da università degli Stati Uniti.
Si potrebbe dire che questo libro è una selezione di ciò che Utzon ha lasciato in Danimarca e all’estero, interpretato da studenti universitari di architettura.
In che modo il patrimonio architettonico di Utzon ha influenzato l’architettura contemporanea. pensate ci sia una differenza tra l’influenza lasciata agli architetti danesi e a quelli stranieri?
A: Anche in questo caso, durante il mio dottorato ho avuto il piacere di intervistare diversi studi danesi. Gli intervistati hanno menzionato come alcuni nomi siano quasi intoccabili, ad esempio Jørn Utzon o Arne Jacobsen. Una cosa che entrambi hanno in comune è che hanno “spinto” gran parte della loro pratica fuori dai confini danesi. Anche se pensiamo a loro principalmente in modo romantico, dobbiamo riconoscere il fatto che hanno lavorato per governi, ambasciate, università, amministrazioni pubbliche e così via, non solo in patria ma anche all’estero, – e niente sarebbe stato possibile senza una sorta di approvazione politica. E ancora oggi la richiesta di esportare l’architettura danese è tremendamente alta!
T: Inoltre, si potrebbe dire che Utzon, nella sua architettura all’estero, è stato in grado di creare una tensione unica tra il rapportarsi in modo specifico ad un luogo e l’apportarvi il proprio contributo specifico. In questo senso ha saputo coniugare contemporaneamente aspetti locali e stranieri. Qualcosa di davvero importante da imparare per gli architetti contemporanei danesi.
Potreste descrivere con più precisione la produzione collettiva del vostro lavoro?
A: Questa pubblicazione è stata un’occasione molto importante per gli studenti che hanno avuto la possibilità di essere pubblicati in un libro facendosi “citare”. “Citare chi lavora” è qualcosa che dovrebbe essere normale, ma purtroppo è un concetto non sempre rispettato in modo corretto tra gli accademici e ancor meno nella pratica.
Lo definiamo un prodotto collettivo perché la posta in gioco era la decolonizzazione dell’idea dominante del “maestro dell’architettura” visto con un certo senso di superiorità e difficile da criticare. Al contrario, agli studenti è stato chiesto di disegnare e creare modelli che corrispondessero alle proprie interpretazioni sull’architettura di Utzon.
È stato un esperimento, un approccio molto libero che gli studenti hanno apprezzato molto. Quindi, per essere più precisi, tutti i disegni sono stati realizzati da studenti iscritti al DIS mentre tutti i modelli da studenti iscritti all’AAA.
T: Trovare alternative ad un modo di insegnare e di educare tipico della “vecchia scuola” di architettura è stato un aspetto molto importante. Non vogliamo imporre alcuna posizione e gli studenti dovrebbero sviluppare le proprie prospettive critiche e imparare da ciò che offre il corso. Vogliamo creare una struttura in cui gli studenti possano crescere come pensatori critici.
Nel libro ci sono quattrodici progetti, settte realizzati all’estero e sette no. Come è nata la ricerca?
T: Abbiamo iniziato la selezione di tutti i progetti di architettura di Utzon sulla base della letteratura esistente per considerare sia i suoi progetti all’estero che non all’estero (all’interno della Danimarca) perché eravamo interessati ai progetti di Utzon sia in Danimarca che non in Danimarca. Inoltre eravamo interessati a progetti che erano stati effettivamente realizzati e costruiti: questo significava che ci sarebbe stata una vasta gamma di materiale e fonti da studiare come i disegni, le immagini, ecc. La parte difficile è stata ordinare i diversi progetti in due gruppi ugualmente grandi.
A: Volevamo includere tutte le tipologie architettoniche costruite che spaziavano dall’architettura privata a quella pubblica. Abbiamo chiamato la selezione “Utzonia” prendendo spunto da Calvino e immaginando una città interamente progettata da Utzon che contenesse tutte le funzioni. Un luogo molto diverso in grado di ospitare tutte le fasi della vita umana.
L’ultima domanda è in merito alla seconda parte del titolo “To/From Denmark with love”. Qual è l’ispirazione e il suo significato?
A: C’è stata una forte retorica dietro l’architettura transfrontaliera che coinvolge l’amore come atto fondamentale. L’atto di donare e offrire la propria conoscenza verso altri contesti viene spesso definito un atto generoso, sebbene ovviamente lo spettro delle considerazioni coinvolte sia molto più ampio e duro (geopolitico, economico, coloniale). Abbiamo voluto giocare con l’ironia nel titolo e utilizzare i saggi della pubblicazione per fare diverse considerazioni sul tema.
T: Certo, c’è anche qualcosa di positivo legato ai viaggi e all’apprendimento dall’esperienza che porti a casa con te.
Ciò che Utzon ha lasciato al mondo dell’architettura è anche la gioia di viaggiare per imparare, e questa potrebbe essere considerata la sua più grande eredità.