Dall’antologica di Mustafa Sabbagh a Manifesta12, Palermo al centro dell’arte internazionale
di Giulia Colletti
Lo spazio ZAC ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo è un ex hangar di oltre 2000mq che, dalla sua apertura nel 2012, è stato spesso testimone di un destino incerto. Dalla nobile intenzione di concepirlo quale museo-laboratorio, in cui artisti internazionali e locali potessero confrontarsi, ad una collettiva di fine residenza che si rivelò poco organica nelle intenzioni e le cui installazioni e dipinti esposti furono presto dimenticati tra la polvere.
Oggi, però, lo spazio ZAC si presenta in tutt’altra veste; Mustafa Sabbagh presenta al suo interno la sua prima mostra antologica XI Comandamento: non dimenticare.
Nevrosi e schizofrenie quotidiane si alternano in questo spazio a mito e religione in una successione di scatti fotografici, installazioni video e site specific. Attraverso l’espediente della serie per immagini, Mustafa Sabbagh mette in scena i più reconditi e insondabili istinti, quelli che ci pongono di fronte all’inconscio, con cui la società contemporanea si ritrova costantemente a dover fare i conti.
XI Comandamento: non dimenticare è un progetto espositivo coerente ed omogeneo, realizzato in forte sinergia con l’Amministrazione comunale della città, e in particolare voluto da Andrea Cusumano, Assessore alla Cultura del Comune di Palermo.
Intervista a Mustafa Sabbagh
Giulia Colletti: Cosa rivela di così intimo la pelle, protagonista assoluta delle serie About skin (2010) e Onore al Nero (2014)?
Mustafa Sabbagh: Semplicemente, la pelle rivela. Percorro la geografia della carne come si esplorano i luoghi sacri, ricercando ciò che li rende unici. L’autenticità è nella difformità, e nulla custodisce e tradisce quello che la vita quotidiana come rappresentazione si affanna a nascondere più della pelle – come microchip e come frontiera, come diario, come dote e come memoria – anche quando è avvolta nel Nero, per onorare e rivelare ciò che inconfessabilmente ricorda e custodisce.
G.C.: XI Comandamento: non dimenticare si rivela un’acuta indagine dei lasciti del passato. Tra reminiscenze classiche, pagane, e cristiane, si svelano istinti e pulsioni che accompagnano l’uomo, ricordandoci che forse non siamo mai stati moderni. Quali basi oggi sono assolutamente necessarie per fronteggiare quello che Freud definiva ‘il disagio della civiltà’?
M.S.: Mantenere puro ciò che è congenitamente impuro. Ciò che è più devastante non è l’istinto; è il senso di colpa. E, certamente, non dimenticare.
G.C.: Le immagini in mostra puntano a scalfire l’intimità più profonda, fatta di inconscio, nevrosi e paure quotidiane. In questo senso la fotografia di Mustafa Sabbagh può essere considerata uno strumento d’autoanalisi?
M.S.: Lo è, nella misura in cui la mia singola autoanalisi è anche strumento di analisi sociale – perché ogni singola psicosi individuale infetterà sempre la società come una pandemia, il cui unico vaccino possibile è la memoria.
Intervista ad Andrea Cusumano
Giulia Colletti: Come è nata la collaborazione con l’artista Mustafa Sabbagh e cosa significa oggi per una città come Palermo ospitare un artista del suo calibro?
Andrea Cusumano: In modo molto spontaneo. Ho conosciuto Mustafa grazie alla mia amica e critico d’arte palermitano Helga Marsala. Sono un artista anch’io e sin dal primo incontro si è manifestata un’empatia di visone, estetica ed etica professionale. Ho illustrato a Mustafa l’impegno dell’Amministrazione in tema di diritti delle minoranze, diritto alla mobilità internazionale, diritti d’identità di genere e di come questa prospettiva attraversasse in modo trasversale l’intera programmazione culturale. Abbiamo da subito condiviso l’esigenza di impegno intellettuale verso queste tematiche pur ritenendo che la dimensione estetica sia comunque la chiave di volta del nostro lavoro. L’arte può/deve trattare temi cogenti per la società, deve tenere presente il contesto in cui opera e può essere più efficace se lo fa in modo poco didascalico. Credo che Sabbagh attraverso il suo lavoro rappresenti benissimo questa mission. Poi vi sono anche motivazioni più epidermiche…credo che, appena atterrato a Palermo, Sabbagh sia stato inondato da una ventata di caldo e si sia sentito da subito a casa. Il Sindaco Leoluca Orlando ha riconosciuto in Sabbagh un compagno di viaggio in condivisione di ideali e gli conferirà la cittadinanza onoraria il 17 luglio 2016 per il finissage della mostra.
G.C.: In che modo in questi ultimi anni è stato ripensato lo spazio ZAC ai Cantieri Culturali della Zisa?
A.C.: Mi sono insediato da poco più di un anno e mezzo. ZAC, una straordinaria Turbine Hall del sud, è stata da subito una mia priorità. Prima del mio arrivo vi era stato un tentativo di apertura attraverso un’iniziativa di coinvolgimento partecipativo degli studenti dell’Accademia, di artisti palermitani e operatori del settore. Una cordata che ha funzionato bene sino a un certo punto. Poi purtroppo il progetto si è arenato ed al mio arrivo ZAC era nuovamente chiuso ed in condizioni di semiabbandono. Ho deciso di dare una svolta a quell’idea progettuale riaprendo lo spazio come galleria di arte contemporanea rivolta a grandi nomi del contemporaneo su scala internazionale, dando particolare risalto ad una programmazione che fosse in linea con le priorità dell’amministrazione, ovvero: diritti umani, impegno civile, dialogo con il territorio, diritto alla mobilità umana, memoria. La galleria ha inaugurato con una mostra del fotografo palermitano Mauro D’Agati curata da Gerhard Steidl, poi la più grande antologica ad oggi di Regina Jose’ Galindo in collaborazione con il PAC di Milano (Regina ha anche regalato alla città una toccante performance all’Orto Botanico), un’installazione pittorica e di relitti d’azioni storiche di Hermann Nitsch, un’antologica di Letizia Battaglia curata da Paolo Falcone con oltre 140 opere di cui molte inedite ed oggi la mostra di Sabbagh. ZAC è ripartito con l’ambizione di diventare un avamposto per l’arte contemporanea internazionale nel cuore del Mediterraneo, un’ambizione che è isomorfa alla città stessa. Palermo vuole riprendere il proprio ruolo strategico di luogo d’incontro tra le culture. Una vocazione storica che costituisce l’identità sincretica di Palermo declinata nell’architettura, nel cibo, nella lingua, nella cultura ed oggi, grazie ai migranti, nuovamente nella popolazione.
G.C.: La mostra XI Comandamento: non dimenticare è un’antologica concepita in un programma culturale più ampio, che culminerà nel 2018 con Manifesta 12. Cosa dovremo aspettarci in un futuro prossimo?
A.C.: È vero. Manifesta12 sarà una grande opportunità per la città, anche in relazione all’ambizione sopra descritta. ZAC rientra certamente all’interno di questa linea programmatica. Le prossime mostre saranno del fotografo palermitano, newyorkese d’adozione, Ernesto Bazan che presenterà il suo lavoro su Cuba e a seguire una mostra in collaborazione con il PAC sull’arte cubana dagli anni ’70 ad oggi. Vi saranno nomi storici quali Ana Mendieta e Felix Gonzalez Torres e giovani performers come Carlos Martiel. Stiamo già lavorando alla programmazione 2017 che comunicheremo a breve. Ma Manifesta comincerà a sbarcare in città già a partire dall’inizio del prossimo anno. La nostra intenzione è quella di iniziare quanto prima il programma di social intervention e educational. A breve si saprà il nome del curatore che sarà senz’altro una sorpresa. L’attenzione alla città, che è anche frutto della progettualità in atto, è testimoniata anche dal nuovo interesse dei privati ad investire in città ed in particolare nel nostro centro storico. Uno dei più ricchi d’Italia e, forse, uno dei pochi in Europa in cui sia ancora possibile pensare modelli di sviluppo diversi da quelli delle città museo o delle città svilite dalle speculazioni e dalla gentrificazione. L’anima popolare del centro storico di Palermo è un monumento in sé che va tutelato. Un esempio virtuoso: i coniugi Massimo e Francesca Valsecchi che hanno deciso di trasferirsi da Londra a Palermo. Hanno acquistato Palazzo Butera, che stanno restaurando, e diventerà la sede della loro collezione ed un centro culturale con residenze e laboratori pensato per la città ed il suo territorio.
G.C.: Qual è il ‘comandamento laico’ cui la cultura dovrebbe attenersi
A.C.: La cultura è il comandamento laico. Per definizione è lo strumento contro ogni forma di dogmatismo. Se intesa in senso vasto come l’opposto dell’ignoranza, la cultura è curiosità e stupore. L’uomo colto non si differenzia dall’ignorante per quantità di conoscenza, ma per capacità di apprendere. Mentre l’ignorante ignora, il colto coltiva. Da questo punto di vista il comandamento, o l’imperativo categorico della cultura è APERTURA. Essere capaci di accogliere: le persone come le idee, le culture come le differenze, i consensi come le critiche. È un comandamento che funziona come atteggiamento generale nei confronti della vita, e che vuol dire prima di tutto saper ascoltare.