La presenza di certe costruzioni trasmette qualcosa di misterioso quando, nella loro estrema semplicità, sembrano essere lì da sempre, nate in un tempo lontano. Architetture non egocentriche, disinteressate ad attirare alcuna attenzione particolare e a spiccare per originalità; architetture che ci parlano sottovoce per non disturbare la quiete del luogo, ma allo stesso tempo in grado di farci partecipi di un ordine spaziale tanto potente quanto arcaico.
Questa è l’architettura che Alberto Morell inserisce tra le frasche della rigogliosa foresta kenyana. Una mediazione tra il continente e il mare indiano, tra la terra e il cielo. L’edificio si presenta con una geometria nitida, è una soluzione sobria e radicale che richiama la tradizione costruttiva Swahili, tipica della costa keniana, riproponendola in riguardosa chiave contemporanea. Piccoli appartamenti autonomi situati all’ultimo piano rivolgono lo sguardo verso l’Oceano Indiano; a questi vi si accede però dal piano terra dove, in uno spazio domestico di grande libertà, trovano disposizione la cucina, la sala da pranzo e il salotto; da qui le grandi porte in mogano si aprono verso un ampio patio. Un’imponente scala sgorga dalla limpida acqua della piscina per guidarci verso il cielo.
Proprio in questo spazio percepiamo tutta la passione di Morell, la sua sensibilità architettonica e la sua attenzione alla semplicità materica dinnanzi alla meravigliosa natura circostante. Casa Dalton è una costruzione ancorata solidamente al terreno, alla sua topografia, ma proprio il suo senso di pesantezza risulta necessario per elevarsi e portarci direttamente al cielo. Quel primo impulso di delimitazione, quando il patio ci circoscrive in uno spazio chiuso e determinato, cambia quando, salendo i gradini della scala, si rende visibile un orizzonte illimitato che rende indistinguibile il limite tra il cielo e il mare. Un senso di leggerezza ci pervade e, proprio qui, su questa terrazza, il luogo artificiale diventa mediazione tra terra e cielo, tra continente e oceano.
Costruita con materiali poveri locali, la struttura si presenta in cemento mentre le superfici sono rifinite con un particolare stucco, chiamato Lamu, che, impreziosito dalla polvere di corallo, conferisce al parallelepipedo una finitura pulita, leggera, ma alquanto resistente. Ma il fulcro dell’intero progetto è la lunga scala che ci accoglie nel patio; percorrendola, infatti, ci accorgiamo che i ventidue gradini scandiscono uno spazio architettonico misurabile accerchiato dall’incommensurabilità del cielo.
Giunta la sera, la luna s’affaccia nel salotto, riflessa sul pelo dell’acqua, e comunica una sensazione di levità, di silenziosa e calma sospensione; e al suo richiamo, usciamo, saliamo lentamente le scale, ci sediamo sugli ultimi gradini e ci affacciamo per cercare nel paesaggio nulla di più che un intimo dialogo con un mondo cui apparteniamo.