Intrecci di corpi, sguardi assenti, scene dense di una sensazione in bilico tra dolore e delizia, dolcezza e inquietudine.
“Condividere la mia visione è un bisogno e un obiettivo. Dopo aver guardato attentamente il mondo, provo a trasferirgli un po’ di magia che porti speranza e fantasia, il mio modo personale di resistere al materialismo e all’assenza di sogni”
Originaria di Saint-Nolff, in Francia, Aëla Labbé si trasferisce ad Amsterdam per studiare danza contemporanea presso la Hogeschool voor de Kunsten, passione che continua a portare avanti insieme alla fotografia. Anzi, come ella stessa afferma, la fotografia è, nella sua essenza, la continuazione della danza: come in una coreografia, l’artista compone un’immagine con i corpi in un determinato spazio.
Nei suoi scatti, infatti, è evidente la particolare attenzione data agli elementi della composizione: corpo, spazio e tempo.
Corpi che sembrano sospesi, leggeri, spesso in stretto contatto con una natura talvolta inquietante.
Sguardi fissi distolti e gesti ambigui di personaggi parzialmente oscurati o colti di spalle, sono emblemi della natura evasiva dell’inconscio.
Immagini nostalgiche, sognanti e allo stesso tempo malinconiche, che a tratti risultano irreali, spesso oscure e misteriose, libere dai confini convenzionali di tempo e spazio.
Non è possibile un’unica interpretazione: il singolo spettatore attribuisce agli scatti di Aëla significati connessi alle proprie esperienze, ricordi e sensazioni.
La fotografa francese è in realtà autodidatta. Compone le sue immagini lasciandosi molto trasportare dall’istinto, partendo da una propria sensazione o un’ispirazione. Il suo stile, caratterizzato da una certa singolarità, mette in evidenza il linguaggio del corpo e le sue emozioni immobilizzate in eterne coreografie.
Protagonisti dei suoi primi scatti sono i suoi nipoti, reali attori di un’infanzia fragile, che è vista dall’artista come un paradiso perduto, il “luogo” dell’innocenza: una terra di fantasie, ma anche di paure.
Un’infanzia descritta da un punto di vista non convenzionale, che ritrae dei bambini persi in un mondo apparentemente incantato e occasionalmente posseduto.
Nei suoi scatti più recenti, invece, prova a mettere in relazione la figura umana con la natura, dando vita ad un misterioso connubio tra reale e irreale.
I lavori di Aëla sono raccolti in un libro, pubblicato nel 2013, intitolato L’Absente, un’ode dedicata all’assenza in tutti i suoi significati.
Qualcosa che manca, qualcosa che è stato perduto, qualcosa che è scomparso o semplicemente le piccole cose invisibili.
Per la fotografa “l’assente” ha un significato più profondo, intimamente connesso alla libertà. L’assente apre uno scorcio su un mondo volto a liberare la mente, estrema fuga dal luogo comune.