Jeff Wall entra a far parte della scena artistica mondiale negli anni ’70 quando comincia il suo inarrestabile percorso divenendo una figura chiave nel mondo della fotografia concettuale. Attraverso temi rilevanti quali relazioni tra esseri umani, politica, tensioni sociali e meno, si rivolge ad un pubblico osservatore. Non è attraverso una rapida e sfuggente occhiata, infatti, che si riesce a cogliere l’essenza di ciò che Wall propone.
“La buona arte, per essere apprezzata in quanto tale, deve essere tanto bella da trattenere l’attenzione dello spettatore.”
Tra le influenze riscontrabili nella sua produzione, quella di Charles Baudelaire è la maggiore: lo scrittore che ha notoriamente tentato di trovare una certa unità tra l’arte e il mondo moderno riflette, non a caso, il lavoro di Wall, il quale rivela un indiscutibile contrasto con la maggior parte dell’arte contemporanea. Jeff Wall stravolge una serie di convenzioni della fotografia tradizionale divenendo un vero e proprio regista che, prima dello scatto definitivo, pianifica al meglio l’immagine nella sua mente finendo per averne il pieno controllo.
Non semplici fotografie ma il risultato di riprese curate al dettaglio, dalla scenografia ai costumi, dalla luce all’azione degli attori-protagonisti. È come se Wall volesse stimolare l’immaginazione degli osservatori incitandoli inconsciamente a costruire storie, a pensare a cosa sia accaduto prima del momento rappresentato e a cosa potrà accadere successivamente.
“A view from an apartment iniziò dalla consapevolezza che la maggior parte degli interni che avevo fotografato fino a quel momento erano al chiuso e poiché non mi piace essere ripetitivo, ho voluto riprendere un interno che fosse aperto, che includesse anche l’esterno. Una volta trovato il luogo adatto c’era bisogno di organizzare qualcosa da doversi svolgere all’interno e ciò sarebbe potuto avvenire soltanto argomentando il nulla. Gli attori erano una giovane coppia e pensai che avrei potuto fotografarli semplicemente com’erano. Chiesi alla donna se voleva apparire da sola o accanto al partner e la foto fu fatta. È la donna ad aver arredato l’ambiente come se l’appartamento fosse stato suo da più di tre o quattro mesi.”
Il linguaggio che utilizza è vicino a quello pubblicitario, come dimostrano il grande formato delle immagini o la presentazione di queste ultime all’interno di light box, cornici retro-illuminate che hanno la funzione di condurre e bloccare l’attenzione dello spettatore sui soggetti o sull’azione principali.
Wall si definisce “un pittore della vita moderna”, colui che sulle basi della storia dell’arte ha fondato la ricercatezza e dettagliatezza delle sue opere. Uno dei suoi prescelti è Edouard Manet, non meno considerevole è il maestro Hokusai o il pittore Eugène Delacroix il cui dipinto “La morte di Sardanapalo” del 1827 ha ispirato “Destroyed room”, una delle fotografie più significative del fotografo canadese. Nonostante l’artificio sia il comune denominatore di ogni fotografia che a prima vista può sembrare banale, il realismo che cela è estremo.
“Morning clearing, Mies Van de Rohe Foundation, Barcelona” mostra l’interno del padiglione tedesco, un’iconica costruzione in vetro dell’architetto Mies Van de Rohe.
“L’uomo nella foto è davvero un addetto alle pulizie. La foto è un documentario, nel senso che rappresenta esattamente cosa l’uomo avrebbe dovuto fare in quel preciso istante di quel giorno. E’ ciò che chiamo ‘quasi documentario’. Nonostante abbia organizzato l’impostazione scenica lavorando in collaborazione con l’addetto alle pulizie, quello che la foto riporta somiglia a ciò che uno snapshot scattato al momento avrebbe rappresentato.”