38 anni di distanza separano le nascite dei due temperamenti artistici che verranno presentati insieme a Roma presso la Fondazione Pastificio Cerere, in via degli Ausoni 7, dal 3 al 28 novembre nell’ambito del progetto “In Polonia, cioè dove?”, giunto al suo terzo appuntamento: Krzysztof Niemczyk e Paulina Olowska.
L’evento “In Polonia per saziare l’amore” (definito “episodio” e già preceduto da altre due mostre) a cura di Ilaria Gianni e Luca Lo Pinto, fa parte di un di un ciclo di approfondimento sulla scena artistica contemporanea polacca, ideato da Ania Jagiello, responsabile del programma di arte contemporanea dell’Istituto Polacco di Roma e Marcello Smarelli, direttore artistico della Fondazione Pastificio Cerere e vedrà presentato per la prima volta in Italia il lavoro di Krzysztof Niemczyk con una proiezione in anteprima di alcuni video di Paulina Owalska.
La mostra sarà presenziata da Anka Ptaszowska, critica d’arte e co-fondatrice della Foksal Gallery di Varsavia.
Ad accomunare i due artisti non è solo la nazionalità polacca, chiaramente scolpita nei suoni dei loro nomi, ma un percorso comune di ricerca volto a mettere in discussione fondamentalismi e totalitarismi, quanto gli stessi schemi sociali e mentali di cui si alimenta una società.
Entrambi incarnano la propria espressione artistica nel mezzo corporeo, eleggendo l’azione fisica a strumento in grado di sondare i limiti e i pregiudizi sociali, fino al punto di una fusione tra arte e vita, dove uno sconfinamento dell’una nell’altra rende spesso difficoltoso distinguere la finzione dalla realtà.
Krzysztof Niemczyk nasce a Varsavia nel 1938, da una famiglia di musicisti trasferitasi successivamente a Cracovia, città alla quale resterà legato per il resto della vita. Autodidatta, sperimenta diversi codici espressivi, dalla scrittura (il suo unico romanzo sarà pubblicato postumo), alla musica, alla pittura. Nel 1971 viene arrestato e rinchiuso in un ospedale psichiatrico, ragion per cui molta della sua attività è rimasta nell’ombra.
Le sue azioni, eseguite in luoghi pubblici, definite happening negli anni Sessanta, si mostravano spesso provocatorie, suscitando l’indignazione del pubblico e sollecitando reazioni repressive da parte delle autorità. Riuscì in questo modo a smascherare la violenza del sistema trasgredendone le stesse regole che avrebbero dovuto garantirne gli equilibri.
Paulina Owalska nasce 38 anni dopo, nel 1976 a Danzica, si forma all’Accademia delle Belle Arti e successivamente alla BFA di Chicago. Anche lei è prismaticamente in divenire tra pittura, videoarte e performance ed espone in tutto il mondo.
L’azione assume ora un ruolo di riflessione sul processo creativo, nel quale soggetto e oggetto si scambiano i ruoli. È riflessione sul linguaggio lei stessa quando nella serie fotografica Alphabet (2005) impersona le 26 lettere dell’alfabeto o quando insieme a Lucy McKenzie, impersonando artista e architetto, fondono i propri ruoli richiamando nella somiglianza la loro immagine speculare l’una di fronte all’altra.
La trasformazione della realtà di Oblique Composition (2003) è stata poi realizzata in uno dei video che verrà presentato a Roma, realtà che la Owalska non esita a mettere in discussione nei suoi stereotipi, filtrando sotto una lente critica i modelli estetici femminili ai quali si rapportava l’immagine della donna negli anni sessanta, gli stessi anni che videro la contestazione delle azioni di Niemczyk, alcune raccolte nelle immagini della mostra di Roma.
Una continuità, dunque, quella tra i due artisti, di forte attualità espressivo-estetica, sospesa tra ricerca di identità e necessità di compartecipazione alla realtà stessa anche a costo di esserne esclusi, rifiutati e che oggi è rafforzata, pur nelle proprie specificità, dall’accostamento critico espositivo che li vedrà presentati a Roma per la prima volta in Italia.