La purezza del cristallo e il calore del legno, questi sono gli elementi principali del Norwegian Wild Raindeer Pavilion, disegnato dallo studio norvegese Snøhetta nel 2011. Il padiglione è un osservatorio per la fauna locale, costruito proprio davanti alla montagna a cui lo studio deve il nome.
Per arrivarci si segue un percorso a pedi in un panorama completamente arido in cui predominano, a seconda delle stagioni, l’orizzontalità sassosa della steppa o l’accecante neutralità della neve. Questo oggetto promette immediatamente un’esperienza coinvolgente, con le sue curve sinuose che avvolgono il viaggiatore riportandolo a contatto con gli elementi primordiali della caverna del fuoco.
Dieci millimetri di acciaio incorniciano con un gesto deciso e minimale un volume ligneo segnato dall’ambivalenza – e dall’equilibrio – di massa e liquidità.
Il fluire del legno è interrotto soltanto dall’intrusione di una porta, che piuttosto che definire un interno, diventa un ponte tra due esterni. Il paesaggio viene diviso temporalmente in due attraverso l’atto dell’ingresso: l’esperienza dinamica dell’arrivo al rifugio e l’immagine incorniciata dal padiglione, scena fissa di un palcoscenico dove si attende comodamente l’arrivo dei personaggi.
Sette lastre accostate senza telaio diventano una lama di specchio unica e verticale che galleggia appena sospesa da terra su una sottile base di cemento.
Il legno viene lavorato quasi come se fosse un materiale malleabile: l’architettura norvegese deriva storicamente dalla fabbricazione di vascelli e imbarcazioni, e perciò l’abilità nella carpenteria ha radici antiche in Scandinavia. I diversi tronchi sovrapposti sono stati intagliati da un’officina navale della costa e fissati attraverso cunei di legno. I pezzi non combaciano perfettamente, ma creano una vibrante linea d’ombra che rimanda al lavoro artigianale e all’handmade, e pur essendo un processo completamente automatizzato la sensazione tattile che ne deriva è fortemente tradizionale.
Il risultato è un oggetto controverso, che attingendo da linguaggi spaziali e tecniche produttive contrastanti, si rivela invece una divertente sintesi tra essenzialità lineare e virtuosismo 3D, superando felicemente l’inconciliabilità tra i due.