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Anna Hahoutoff è una fotografa franco-russa in viaggio per quegli Stati Uniti che attraverso il suo occhio sembrano appartenere a un altro pianeta. Il suo progetto Americana si aggiorna mano a mano che il suo viaggio per gli States prosegue. È, per dirla con un tweet di Kanye West, “a living breathing changing creative expression”. In un puzzle che sembra stare nel mezzo fra uno spiritualismo digitale e un realismo naturale, fra creazione e descrizione, fra espressione e ricerca, Anna Hahoutoff ci invita a esplorare il suo reportage onirico. Qui la nostra intervista
Come è nato il progetto “Americana”?
Sono sempre stata molto attratta dagli Stati Uniti e anche da ragazzina ero completamente affascinata dall’immaginario americano e dalla cultura pop. L’anno scorso decisi di andare in California un paio di mesi e poi di rimanerci con alcuni amici per parlare di alcuni progetti lavorativi: fu uno shock incredibile. Così in pochi giorni pianificai di trattenermi per più tempo di quanto avessi previsto. Dopo aver viaggiato un po’ per la California iniziai a voler vedere com’era il resto del Paese. Con i miei amici organizzammo un road-trip da Los Angeles a New York passando per il Nord del Paese. Durante questa fase di organizzazione ho avuto l’idea di questo progetto-puzzle in cui avrei documentato ogni stato che avrei visitato.
Qual è stato il tuo primo approccio all’immaginario del sogno americano?
Attraverso i film, i libri, la musica e in generale la cultura pop. Da bambina guardavo tantissimo MTV e quella è stata la mia primaria finestra sull’immaginario americano. Ora parlo di immaginario onirico anche se ovviamente su MTV giravano solo show comici e videoclip musicali, ma tutto ciò sembrava così lontano dalla mia realtà che ne ero completamente ipnotizzata. L’immagine che poi percepivo di quel Paese era di un posto davvero libero con persone cool che facevano tutto ciò che volevano. Come ho detto, ero una bambina.
Cosa ti ha spinto a esplorare quell’immaginario?
Ho realizzato abbastanza velocemente che c’erano molti tipi diversi di immaginario americano e dopo aver viaggiato attraverso la California ho capito che un Paese di quella grandezza doveva avere molte diverse angolature e sfaccettature. All’inizio del mio progetto le immagini che avevo in testa erano, per esempio, i lavori di Edward Hopper, per questo temevo che mi sarei focalizzata solo su architettura, ristoranti tradizionali, centri commerciali eccetera. Invece fin da subito la natura si è imposta nel mio lavoro e quindi mi sono concentrata soprattutto su panorami e piccoli dettagli particolari che avrei trovato qui e là.
Vedi questo immaginario come qualcosa di storico, in senso nostalgico, o qualcosa di vivo e attivo nei nostri giorni?
Direi entrambe le cose, dal momento che questo immaginario è pensato come qualcosa di vintage dagli americani stessi: creano nuovi ristoranti che sembrano esattamente come quelli tradizionali o continuano a produrre cartelloni o segnali che ricordano il periodo glorioso degli U.S.A.. Per questo è allo stesso tempo un immaginario storico e anche qualcosa di veramente vivo e che perdura oggi con nostalgia. Gli Stati Uniti sono sempre stati un gioiello per i fotografi di tutto il mondo, ma anche per gli americani stessi: sono molto fieri e legati alla “efficienza del loro immaginario” e fanno bene, è un simbolo molto forte della cultura americana.
Cosa significa per te vedere il sogno americano con la lente russa? Cos’è la lente russa?
È il mio occhio immerso nell’immaginario americano, ma cresciuto dall’altra parte del mondo, in un Paese molto diverso. Il modo in cui io vedo gli Stati Uniti è ovviamente molto diverso dal modo in cui gli americani vedono il loro Paese. Non solo ho l’occhio dello straniero, ma in più vengo da un Paese che in passato è stato nemico e che è per molti versi l’opposto di ciò che sono gli Stati Uniti. I conflitti del passato hanno praticamente reso gli americani quelli buoni e i russi quelli cattivi, per questo ero piena di aspettative e curiosità.
La distanza (culturale e geografica) fra gli Stati Uniti e la Russia come ha influito sul tuo lavoro?
Dato che nulla è famigliare, ogni cosa deve essere scoperta quindi ogni cosa è interessante. Il mio lavoro insiste su primi piani e dettagli casuali di ciò in cui mi sono imbattuta. Molte cose per me sono completamente nuove o strane. Anche i più piccoli dettagli sono una costante fonte di ispirazione. Mi piace documentare tutto ciò che vedo per creare un puzzle visuale del tempo che ho passato qui, quindi accostare cose che sono familiari e cose che sono per me completamente estranee.
Nel tuo lavoro cerchi di eliminare questa distanza o di usarla per creare una visione particolare?
Certamente di usarla. È più interessante per me avere un punto di vista personale e lavorare come una straniera.
Le tue fotografie sono realistiche, ma si avverte anche qualcosa di surreale, come se ci fosse qualcosa di spirituale che stai cercando nelle scene di vita quotidiana americana. È qualcosa che in effetti ricerchi?
Mi piace molto questa idea che i miei lavori possano mettere in discussione la relazione fra artificiale e naturale. Per esempio, fare un uso molto pesante del flash sulla natura crea una sensazione di artificialità dei colori e di altri aspetti, quasi come fossero piante di plastica. Sono anche molto attratta da temi e stampe di immagini, per esempio le cascate di Niagara appese su una parete. Trovo interessante sfidare la realtà e la finzione in un’immagine e creare incontri fra l’organico e il manufatto.
Quale tipo di spiritualismo ti interessa?
Innanzitutto la relazione fra tutti gli elementi, poi l’interazione fra l’uomo e il mondo naturale. Mi piacerebbe condurre un progetto fotografico su larga scala interamente dedicato ai riti dei nativi americani. Sono affascinata dalla relazione che hanno con gli elementi che li circondano. È un tema che mi colpisce molto, soprattutto oggi che viviamo un’era molto distruttiva per il pianeta.
Come si collega questo spiritualismo al tuo viaggio? Voglio dire: come si collega questa ricerca spirituale e astratta alla tua attività documentaristica? Sono due aspetti separati o due facce della stessa medaglia?
Sicuramente due facce della stessa medaglia. Sto documentando il progresso che faccio in viaggio e cerco di raccogliere pezzi di un puzzle che alla fine rivelerà qualcosa di me. Sto documentando la mia ricerca così come documento le cose attorno a me, che mi influenzano e mi formano.
La tua attività documentaristica è divisa per ogni stato. La tua ricerca spirituale è divisa allo stesso modo o è qualcosa che continua al di sotto, un po’ come una seconda trama?
È più vero il contrario. Dividere il progetto per stati mi è molto utile per enfatizzare l’immensità del Paese e le sue varie sfaccettature. La ricerca spirituale è sempre la stessa ovunque ma i luoghi dove mi trovo influenzano profondamente la mia esperienza: in alcuni posti mi fermo a lungo mentre altri li attraverso e basta, a volte il posto in cui sto mi sembra stupendo mentre altri mi mettono ansia. Volevo separare le storie per illustrare davvero il tempo trascorso e credo che il progetto abbia più forza con più capitoli di una storia unica anziché il libro intero in una volta.
Senti questo progetto più simile a un diario o a un freddo reportage?
Credo sia un misto dei due. Per me ogni cosa è in qualche modo un reportage, ogni immagine ha lo scopo di documentare qualcosa, illustrare un momento. Ma questo progetto è condotto del tutto come un diario personale e segue la mia esperienza personale.
Vuoi creare un certo ritmo: c’è una narrazione particolare, o una trama che continua e che stai seguendo?
In realtà no. Sto costantemente e compulsivamente scattando foto durante un’esperienza che è in movimento. Ho viaggiato per migliaia di chilometri e il mio lavoro è regolato sul ritmo del viaggio.
Come ha influenzato il tuo lavoro l’altro grande immaginario americano, ossia quello dei viaggi on the road e delle lunghe autostrade?
Non mi ha davvero influenzato. Sono consapevole di questo immaginario e ne leggo molte storie – per esempio gli autori della beat generation – ho scoperto lavori come quello di Stephen Shore ma questo background non ha influenzato il mio lavoro o le mie aspirazioni. È sempre la stessa storia, le stesse fotografie, le stesse strade. Lungi dal dire che il mio lavoro è una rivoluzione – già l’idea del road trip americano è fatta e rifatta – ma credo che il mio punto di vista sia almeno un po’ nuovo. In questi luoghi ampissimi preferisco focalizzarmi in primi piani e dettagli invece che in grandi quadri. Se questo immaginario del road-trip mi ha influenzato in qualche modo è proprio nel fatto che ho voluto fare esattamente un’altra cosa. Non è evidente nel mio lavoro ma un’influenza davvero forte è Philip-Lorca diCorcia. Il modo in cui lui usa l’immaginario statunitense come sostegno nella sua opera è fantastico. La sua opera mostra un aspetto oscuro di quell’immagine glamour che viene dagli Stati Uniti.
Una volta ho letto Preludio alla Fondazione di Isaac Asimov dove il protagonista deve trovare un modo per raccogliere ogni stile di vita e ogni informazione dall’intero universo per creare la psicostoria, una disciplina in grado di predire il futuro. Alla fine scopre che il pianeta dove vive è così complesso e così vario che è sufficiente a rappresentare l’universo. Ho sempre pensato che uno dei possibili significati possa essere che la varietà di un Paese potrebbe essere metafora della varietà del mondo intero. Tu stai documentando in un viaggio un intero Paese: questo viaggio potrebbe essere metafora di un viaggio per il mondo? Cosa ne pensi?
Assolutamente sì. Mi piace molto questa idea di psicostoria e anche l’idea di vari mondi racchiusi in uno solo. Credo che questa metafora abbia un senso. Ogni Paese in un modo o nell’altro è un mondo a sé e non c’è abbastanza tempo in una sola vita per raccogliere informazioni su ognuno. Idealmente mi piacerebbe viaggiare per gli Stati Uniti per più anni e poi continuare a viaggiare per altri Paesi finché sono in grado e quindi documentare il più possibile ciò che vedo e faccio.
Le tue fotografie sono pubblicate nel sito di livewild rispettando una particolare composizione. In che modo questa composizione influenza il tuo lavoro (o almeno la scelta delle fotografie)?
Lavorare al layout del mio lavoro è una parte importante del mio progetto. Volevo presentarlo in un piano molto libero e ludico così da giocare, ancora, con il ritmo del viaggio. È il lavoro stesso che influenza la composizione e non il contrario. Lavoro sui dittici e sui rimandi tra immagini e atmosfere.
Dato che le tue fotografie sono ora pubblicate su un sito, potresti tornare a cambiarle in qualsiasi momento. Anche quando il tuo viaggio sarà finito, potrai aggiornare qualche novità. Quando considererai terminato questo progetto? Giungerà davvero a un termine?
In effetti qualche volta torno già sul sito a modificare o riarrangiare un paio di cose. Sarà un progetto in continua evoluzione finché viaggio quindi non arriverà mai a un termine.