Situato nel quartiere Flaminio in una strada non troppo trafficata, sebbene a pochi passi da Piazza del Popolo, vi è il Museo Hendrik Christian Andersen, una aggraziata palazzina in stile eclettico neo-rinascimentale progettata da Andersen stesso a partire dal 1922 concepita sia come casa che come studio atelier di pittura e scultura.
L’edificio fu convertito in museo e aperto al pubblico nel 1999 a seguito di un attento restauro.
L’importanza di questo edificio risiede sia nel suo contenuto, in quanto ospita l’intera produzione artistica di Andersen della quale si stimano oltre duecento sculture di varie dimensioni in gesso e bronzo, oltre duecendo dipinti e oltre trecento opere grafiche a testimonianza delle teorie utopiche dell’artista legate alla “Città Mondiale”.
Questo edificio rappresenta la tipologia abitativa della “casa-museo” il che conferisce alla collezione un valore non solo artistico ma anche storico e sociale, un luogo che è stato sede di pensiero politico legato ai movimenti internazionalisti e pacifisti della borghesia intellettuale di inizio Novecento. Il piano terra dell’edificio chiamato anche “Villa Helene” in onore della madre dell’artista, ospita due grandi sale atelier occupate dalle opere dell’artista, più precisamente la sala destra era il vero e proprio laboratorio illuminato dall’alto grazie a un solaio costruito appositamente per adempire questa funzione, la sala sinistra ospitava e ospita tuttora l’esposizione delle opere e dei busti. Salendo un’elegante scala posta in asse con l’ingresso del museo è evidente che la cura per il dettaglio sia fondamentale: le decorazioni in stucco sulle pareti, le finestre con i vetri intarsiati e colorati. Tutto concorre a creare un luogo assolutamente affascinante.
Il primo piano ospitava l’abitazione vera e propria che attualmente viene utilizzata per mostre temporanee di artisti stranieri dall’Ottocento alla contemporaneità. Anche qui vi sono alcuni elementi di rilievo come i soffitti quasi totalmente decorati con motivi floreali, gli arredi di pregio, gli stucchi e la collezione di porcellane.
Inoltre la grande terrazza gode di una vista mozzafiato sul quartiere flaminio e sul Lungotevere delle Navi, intelligentemente frequentata da studenti stranieri in soggiorno a Roma e ignorata dalla maggiorparte dei cittadini romani, come il museo stesso d’altronde.
Il recente restauro dei prospetti ha restituito l’aspetto originale del paramento, portando alla luce le delicate cromie della facies originaria.
Hendrik Christian Andersen nacque a Bergen in Norvegia nel 1872, e appena un anno dopò emigrò con la famiglia in America a Newport. Nel 1893 inizio a viaggiare in Europa per studiare arte, affascinato dalla bellezza della Città Eterna decise di stabilirsi a Roma per il resto della sua vita dove entrò nelle grazie di molti artisti e fu sempre supportato economicamente per proseguire i suoi lavori. Soprattutto fu finanziato dalla cognata Olivia Cushing che credeva fermamente nel suo talento e sviluppò insieme a lui l’idea utopistica della Città Mondiale. Inoltre era legatissimo alla madre Helene e al fratello Andreas. Morì nel 1940 e fu seppellito nel cimitero acattolico di Roma. Una figura importante nella vita di Andersen fu lo scrittore e patriota americano Henry James,conosciuto nel 1899. Sebbene lo scrittore fosse di trenta anni più anziano di Andersen. I due svilupparono un legame fortissimo testimoniato da un fervente scambio epistolare, che lascia intuire un legame che probabilmente superava quello di una semplice amicizia. Gran parte della vita di Hendrik Christian Andersen fu dedicata alla creazione e allo sviluppo della teoria utopistica della Città Mondiale, un luogo che doveva essere il fulcro di un laboratorio perenne di idee nel campo delle arti, delle scienze, della religione e del pensiero filosofico. Questa città chiamata “World Centre of Communication”, avrebbe dovuto essere una capitale mondiale sperimentale, un luogo in cui le eccellenze occidentali si potessero riunire. Questa “gloriosa utopia” è testimoniata tangibilmente solo dal materiale contenuto nel museo, la speranza in un mondo universale, senza confini nazionali, in cui il progresso e l’arte potessero elevare lo spirito dell’uomo dalle debolezze terrene, rendendolo libero.
Tutte queste teorie furono concretizzate nel 1913 in volume di circa cinque chilogrammi intitolato “Creation” e scritto a quattro mani con l’architetto e urbanista francese Ernest Hebrard. Tale volume era l’evoluzione di uno scritto precedente intitolato “La fontana della vita”, doveva essere per Andersen uno strumento di propaganda.
Nonostante l’apparente ingenuità politica e l’eccessiva monumentalità nell’esporre le sue tesi utopiche, i lavori di Andersen dimostrano una profonda comprensione dei conflitti sociali e politici derivati dalla sempre più prepotente affermazione del nazionalismo dei primi anni del XX secolo. Egli cercò di usare l’arte come strumento di ricerca e soluzione di un mondo utopico. La sensazione che suscita questo museo è quella di un luogo dove il tempo si è fermato, dove poco o nulla è cambiato e si avverte tuttora una febbricitante presenza, una forza vitale che aspetta solo di essere riscoperta.