New York, metà del secolo scorso.
La guerra è finita e si respira un’aria di vivace cambiamento, di rinascita artistica.
In questo clima nasce la New York School, un movimento che coinvolge artisti, poeti, ballerini, musicisti mossi da nuovi stimoli e volenterosi di sperimentare, di creare qualcosa di nuovo.
L’espressionismo astratto prende piede e si concretizza nei lavori di grandi artisti come Willem de Kooning, Mark Rothko, Ad Reinhardt e Jackson Pollock.
Quest’ultimo, forse, è quello che meglio incarna l’archetipo del genio tormentato americano.
Sebbene sia meglio conosciuto per i suoi famosi “drip painting”, non raggiunse questo stile se non nel 1947, dopo almeno 15 anni di esplorazione e sperimentazioni di figurazioni, astrazioni e composizioni.
Arrivato a New York nel 1929, Jackson Pollock inizia a 18 anni a formarsi come artista alla Art Students League, allievo del pittore Thomas Hart Benton la cui forte influenza si riflette nelle sue prime opere insieme quelle del Surrealismo e del Cubismo derivanti dall’Europa, del moralismo messicano e dell’arte dei nativi americani.
Queste influenze emergono nei suoi primi lavori, come la litografia aerografata del 1936 Landscape with Steer che fu realizzata durante il suo periodo al laboratorio di David Alfaro Siqueiros dove impara a sperimentare con i materiali grezzi lasciandosi alle spalle la scuola europea, la delicatezza dei tratti, il “vecchio”.
Sebbene la natura figurativa di quest’opera, iniziano a intravedersi anticipazioni delle sperimentazioni tecniche tipiche del Pollock successivo come spruzzi e gocciolamenti di smalti.
Un’opera fondamentale nel percorso di Pollock è da considerare La Lupa, un dipinto del ’43 a tecnica mista di una lupa che secondo alcune interpretazioni alluderebbe al mito della fondazione di Roma.
In quest’opera, ancora figurativa, il soggetto è sovrapposto a un terreno di schizzi e gocce di vernice, elementi che diventeranno portanti nelle opere dell’artista. Pollock inviò questo dipinto alla collezionista Peggy Guggenheim che poco più tardi diventò una figura importante nella sua vita. Nel 1945 Pollock sposò Lee Krasner, a sua volta pittrice, e si trasferì con lei a Long Island dove comprarono, proprio con l’aiuto finanziario di Peggy Guggenheim, una casa con fienile adibito a laboratorio, quella che oggi è conosciuta come la Pollock-Krasner House.
Il 1947 rappresenta l’anno di svolta nella carriera artistica di Jackson Pollock, l’anno di rottura con i metodi tradizionali di pittura e le prime opere realizzate con il “dripping”, la tecnica radicale distintiva del pittore che lo portò negli anni ad essere soprannominato dal Time “Jack the Dripper”.
Durante quest’anno ci fu la realizzazione di Full Fathom Five, una delle prime opere realizzate con la tecnica del dripping. Per la prima volta la tela viene posizionata sul pavimento anziché sul cavalletto e vengono inseriti tra gli strati di vernice oggetti come sigarette, monete e unghie. Il tutto viene ricoperto di smalti scagliati con forza e fatti gocciolare su tutta la superficie dando luogo a dense reti di colore intrecciate con gesti rapidi.
“Sul pavimento sono più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del dipinto, poiché in questo modo posso camminarci intorno, lavorare dai quattro lati e letteralmente essere nel dipinto.”
Nei suoi primi esperimenti di drip painting, Pollock seguì l’approccio surrealista esprimendo il suo subconscio senza controllare i movimenti e ottenendo così effetti casuali nelle sue composizioni. Ben presto, tuttavia, iniziò a controllare i movimenti del suo corpo traducendoli in segni lineari e fluidi.
«Quando sono “nel” mio dipinto, non sono cosciente di ciò che sto facendo. È solo dopo una sorta di fase del “familiarizzare” che vedo ciò a cui mi dedicavo. Non ho alcuna paura di fare cambiamenti, di distruggere l’immagine, ecc., perché il dipinto ha una vita propria. Io provo a farla trapelare. È solo quando perdo il contatto con il dipinto che il risultato è un disastro. Altrimenti c’è pura armonia, un semplice dare e prendere, ed il dipinto viene fuori bene.»
Nel 1952 il critico d’arte Harold Rosenberg coniò il termine Action Painting, sostenendo che i movimenti fisici dell’artista fossero la vera opera d’arte e che la tela fosse solo la registrazione dell’insieme dei gesti compiuti durante la realizzazione dell’opera. Jackson Pollock è ritenuto un esponente di spicco di questa corrente: nei suoi quadri si possono chiaramente leggere le varie rotazioni del braccio, i forti scatti di gomito e polso.
Sebbene non fosse stato il primo ad esplorare l’utilizzo degli smalti liquidi, Pollock è stato sicuramente colui che li ha usati in modo più drammatico possibile utilizzando l’incidentalità del caso e la forza di gravità come componente principale dello stile che sarebbe diventato sinonimo del suo nome.
Il suo periodo di massimo splendore artistico coincide però con un periodo di forte decadimento personale, irrequietezza, alcolismo, che condurranno Pollock in una spirale autodistruttiva.
Con i drip painting Pollock raggiunse grande consenso tra la critica e una buona stabilità economica ma da sperimentatore irrequieto, decise tuttavia di cambiare rotta reintroducendo nelle sue opere cenni di figurazione come l’occhio nella sua tela Echo: Number 25 del 1951. Le tele tornano sul cavalletto, i colori a olio vengono reintrodotti e una nuova fonte di ispirazione in questi anni diventano le opere di Henri Matisse, che entrano nei suoi lavori con una scelta di colori piatti e brillanti e l’utilizzo drammatico del nero come in Easter and the Totem del 1953.
La depressione e l’alcolismo portarono con sé un forte blocco creativo che lo indusse a smettere di dipingere completamente nel 1955. Un anno dopo, a soli 44 anni, ubriaco alla guida, morì in un incidente d’auto mettendo fine alla sua irrequietudine e a una carriera rivoluzionaria che ha cambiato la storia dell’arte.