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Fisura is Noisy
Domanda – Fabiola Mele – L’Architettura non è un paese per giovani. A differenza di altri ambiti ‒ collegati in particolare all’arte o al design, dove forse è più facile per i giovani professionisti proporre qualcosa di innovativo ‒ occorrono anni ed anni di pratica per fare buona architettura o per comprendere gran parte delle sue implicazioni. Allo stesso tempo, bisogna riconoscere che oggi a maggior parte delle riviste satinate manca di contenuti critici (molte di esse riproducono semplicemente le stesse cose dei siti web, ma con più pubblicità e tenendo conto più degli sponsor che dei lettori). Tenendo conto di queste premesse, come percepite il vostro ruolo in quanto giovani che cercano di dar voce a un dibattito personale basato su considerazioni critiche?
Risposta – Amaranta Aguilar – Noi pensiamo che l’architettura ‒ come la maturazione ‒ sia un processo, quindi, in quanto giovani, seguiamo il suo stesso percorso. Non la riteniamo una professione preclusa ai giovani, proprio in virtù del fatto che questa disciplina subisce un’evoluzione continua, giorno dopo giorno, di fatto più per mano della società che per quella dell’architetto stesso, dalla semplice modifica dell’ arredamento o del colore di un muro alla rigenerazione di un’intera piazza. Quale che sia la loro natura, questi cambiamenti apportati dal design sono il risultato di una interazione costante, acquisita in gioventù e processata nel corso del tempo.
Tenendo conto della sua continua evoluzione e del fatto che sia una disciplina gestita e revisionata dalla società, è necessario approfittare di questi primi anni “incoscienti”: è proprio questo il momento in cui possiamo prender voce, avanzare critiche e punti di vista differenti. Nonostante la democratizzazione dell’architettura, ci troviamo in un era ultra-saturata, per cui le opinioni individuali sono molto apprezzate; avevamo bisogno di uno spazio in cui poterci esprimere, al di fuori delle alte sfere o dei media influenzati, su architettura, arte, design, fotografia, società e quant’altro, non siamo vincolati a nulla. Siamo giovani che parlano a giovani del nostro futuro, ogni tipo di pubblico è ben accetto.
Domanda – Cristina Gallizioli – Spazi dimenticati, ricordi, arte di seconda mano, coscienza… I vostri temi principali oscillano tra nostalgia e futuri potenziali. Più che porporre soluzioni, come richiederebbe la professione, sembrate cristallizzare il tempo per analizzarlo al di fuori del suo flusso. Qual’è la vostra posizione nei confronti del tempo e possibilità di intervenire sul futuro?
Risposta – Jorge Sánchez – Prima di provare a posare un mattone, dobbiamo fermarci a pensare dove siamo, cosa abbiamo fatto e dove vogliamo andare come città Latino Americana, questo porta a un punto di svolta. Siamo città relativamente nuove e in forte crescita, siamo ancora impigliati nella modernità e continuiamo a costruire alla velocità di un treno.
Abbiamo una grande opportunità come Paese, molto prima di essere conquistato dalla cultura occidentale in Messico c’erano civilizzazioni il cui concetto di vita era ciclico e la relazione tra gli esseri umani e il loro contesto era di mutuo rispetto, al contrario del progresso odierno che consideriamo moderno.
Data quest’ondata di crescita e “progresso”, prendere una pausa, analizzare il nostro contesto (sociopolitico e geografico) e smettere di costruire, è già l’inizio di una soluzione.
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