Per definire il Surrealismo, le parole che Woody Allen fa dire a Man Ray, Luis Buñuel e Salvator Dalì, paiono le più azzeccate nella loro sintetica semplicità. In Midnight in Paris, i tre mostri sacri di quella stagione irripetibile, rispondendo allo scrittore in crisi Gil Pender, dicono cosa vedrebbero in quella surreale situazione: Man Ray una fotografia, Buñuel un film e Dalì un rinoceronte.
Benvenuti nel Surrealismo.
Parigi anni ’20, les années folles. La sua atmosfera cosmopolita, che vede l’esplosione del jazz e un rifiorire culturale effervescente, richiama artisti da tutto il mondo. Al teatro degli Champs–Elysées canta Joséphine Baker scatenata nel più pazzo charleston che manda letteralmente in delirio i francesi e le banane del suo gonnellino. Applaudita da Francis Scott Fitzgerald, Pablo Picasso e Coco Chanel la sua voce ci catapulta in una città in continuo fermento e rinascita dopo gli anni bui della Grande Guerra ed è in questa euforia che nasce il Surrealismo. Il movimento coinvolse tutte le arti e Parigi gli dedicò nel 1925 la prima Exposition International du Surréalisme cui ne seguirono molte altre, nella Ville Lumière e in diverse città, visto l’interesse e la capillare diffusione nel mondo.
“Il surrealismo si fonda sull’idea di un grado di realtà superiore connesso a certe forme di associazione finora trascurate, sull’onnipotenza del sogno, sul gioco disinteressato del pensiero. Tende a liquidare definitivamente tutti gli altri meccanismi psichici e a sostituirsi ad essi nella risoluzione dei principali problemi della vita.”
André Breton, Manifeste du surréalisme
Teorico del surrealismo, che aveva avuto tra i suoi precursori Guillaume Apollinaire, fu André Breton, poeta, saggista, critico d’arte con studi di medicina alle spalle e interessato alla psichiatria, che rimase fortemente influenzato dalla lettura de “L’interpretazione dei sogni” di Freud. Abbandonato il dadaismo, che rimarrà sempre un riferimento costante e a cui aveva aderito con entusiasmo dopo i contatti con Tristan Tzara e Francis Picabia nel loro “Manifesto Dada 3”, nel 1924 firma con Luis Aragon, Paul Éluard, Robert Desnos, René Crevel, Pierre Naville, Benjamin Péret, Philippe Soupault e Roger Vitrac il primo Manifeste du surréalisme cui ne seguirà un secondo nel ‘29. Pubblica la rivista La Révolution surréaliste diretta da Antonin Artaud dove parteciperanno anche Raymond Queneau, René Magritte, Joan Miró, Michel Leiris.
Il titolo La Révolution surréaliste sintetizza quello che vuole essere e rappresenterà per molti anni il surrealismo, sino alla consacrazione sulla rivista americana “View” che pubblica nel 1941 un’intervista a Breton: una rivoluzione che coinvolse non solo tutte le arti ma anche il pensiero, la politica, la vita. Breton imitava, nell’organizzazione del movimento, i gruppi politici dell’estrema sinistra, suscitando frequenti polemiche e scissioni. Con l’entrata di Hitler a Parigi, poiché il suo nome è nelle liste dei comunisti, raggiungerà New York per fare ritorno a Parigi alla fine del conflitto mondiale.
Nel ’28 Breton, che dirigerà il movimento sino alla sua morte nel 1966, pubblica Le Surréalisme et la Peinture dove definisce l’estetica surrealista: l’inconscio è la regione dell’indistinto e l’arte, quindi, non è rappresentazione ma comunicazione vitale e psicologica dell’individuo col tutto. L’esperienza onirica nell’arte, come nella terapia psicanalitica, assume una rilevanza fondamentale, il rapporto arte-inconscio apre nuove vie per l’arte moderna. Il surrealismo rifiuta il naturalismo ma fonda la sua visione sul paradosso di ogni forma, sull’assurdità dell’esistenza.
La storia del surrealismo in pittura si integra con il movimento letterario: Breton ed Éluard sono scrittori che disegnano, Max Ernest e Hans Arp sono pittori che scrivono. Max Ernest, il più surrealista dei pittori surrealisti come l’aveva definito il critico d’arte Giulio Carlo Argan, inventa il frottage, strofinamento di una matita morbida su carta sovrapposta ad una superficie ruvida, affermando che agendo da spettatore “non dipinge il sognato, ma sogna dipingendo”.
L’avventura sperimentale del surrealismo, che fa propria la spregiudicatezza dadaista e l’inquietudine della pittura metafisica che vede in Giorgio De Chirico il massimo ispiratore, porta alla creazione di altre tecniche utilizzate come provocazione e rivelazione, un “automatismo psichico” che vuole esprimere il pensiero al di fuori di ogni controllo cosciente. Quindi il collage, il grattage, l’assemblage, il fumage, la decalcomania, la solarizzazione, il rayogramma e il dripping, che traeva spunto dalla cosidetta “scrittura automatica” utlizzata da Breton e altri, poi tecnica caratteristica dell’Action Painting, rielaborata da Jackson Pollock.
Nel suo delirio di grandezza le allucinazioni di Salvador Dalì, poliedrico artista che lapidario diceva “Il surrealismo sono io”, che voleva fotografare l’inconscio e definiva la sua accesa fantasia “paranoico-critica”, lo portano ad una visione onirica ricca di implicazioni sessuali, un misto di lubrico e di sacro.
René Magritte indaga sull’irrealtà delle apparenze raffigurando immagini dal significato ambiguo, colme di doppi sensi e immerse in un’atmosfera di straniamento e mistero. Il mondo dell’inconscio di Joan Miró è quasi fiabesco, colorato e popolato da figure geometriche. Paul Delvaux e le sue donne che si trasformano in alberi, i paesaggi allucinati e sconfinati di Yves Tanguy, i film di Luis Buñuel, le rayografie inventate per caso da Man Ray che le denomina con il suo cognome, Jean Arp con le sue sculture dalle forme primarie. André Masson con la sua pittura “automatica” legata a fattori casuali e poi Pablo Picasso che, non aderendo mai completamente al movimento, farà dire a Breton: “Picasso è surrealista nel Cubismo.”
La prima fase del surrealismo culmina con le mostre di New York nel 1936, Londra e Parigi nel 1937 e 1938. La seconda fase, a causa della guerra, vede l’emigrazione e l’esilio da Parigi a New York e nel dopoguerra si assiste all’internazionalizzazione del movimento, la cui influenza si estenderà in quasi tutta Europa, Stati Uniti, Messico, Argentina, Cile e Giappone.
Ma poi sarà l’esplosione dell’arte americana l’evento più significativo nella storia dell’arte della seconda metà del XX secolo e New York diverrà il centro della cultura artistica mondiale.