Forse non avremmo avuto la fortuna di nascere negli anni ruggenti dello stile, quegli anni in cui una categorizzazione di cosa fosse in o out era facilmente deducibile dall’immaginario visivo delle persone della strada, come del jetset. Noi abbiamo oltrepassato i 60, 70, 80, 90, abbiamo sbaragliato anche le perplessità di fine secolo riconformandoci ad una pseudo norma. Adesso stiamo vivendo l’epoca del tutto-può-far-tendenza-ergo-se-ho-un-minimo-di-personalità-la-tendenza-me-la-faccio-da-me. In realtà questo nostro momento storico ha molto più da dire di quanto non sembri. Nel lungo processo evolutivo del sistema moda che per propria caratteristica si presenta come un flusso continuo, non sempre è facile delineare percorsi e tappe. La storia è fatta non dai grandi nomi, ma dalle persone che lavorano dietro le quinte e questi anni che stiamo vivendo andrebbero considerati un po’ come il dietro le quinte del futuro della moda. Noi non stiamo vivendo un’epoca di forti stili, noi stiamo facendo l’epoca delle grandi domande.
La moda si sta affermando sempre più come una realtà accademica a sé stante; mostre, editorial e fashion show non si risparmiano dal mostrare le loro realtà in divenire soffermandosi più sui processi che sui prodotti finiti. Il concettualismo del nuovo secolo è completamente rivolto al futuro, all’interdisciplinarità, alle nuove tecnologie, alla ridefinizione dei limiti.
Simon Costin è una delle figure più interessanti ed enigmatiche della moda contemporanea le cui visioni all’avanguardia ci spronano a leggere la problematica evolutiva della moda in termini davvero unici. Simon è un art director/set designer che è emerso nella precarietà della moda concettuale degli anni 90, un momento di forte carica creativa in cui lo show diveniva performance e ogni azione un modo di decostruire la semantica dell’epoca. Assistendo nomi del calibro di Alexander McQueen, Tim Walker o Gareth Pugh, ha avuto modo di esprimere la sua estetica fantasiosa, portando il linguaggio dell’installazione artistica negli editorial e nei fashion show. Simon ha ripreso la teatralità degli stilisti di fine secolo per renderla la voce di una nuova aspettativa, quella evolutiva. Gli enigmatici scatti composti con Tim Walker, come Where troubles melt like lemon drops o Far, far from land, il concettualismo dei setting, la costruzione della scena, l’immissione delle parole che fungono da ulteriore sfondo alle storie narrate, mettono a dura prova le convenzioni del mestiere. Questa nuova teatralità non è più figlia di un’esigenza di marketing, è figlia di una nuova fame di sapere fino a dove saremo in grado di spingerci. Quali saranno i nuovi modi di presentare la moda? Come si evolveranno le passerelle, sempre più fashion show o semplici sfilate?! In questo tipo di domande risiede l’ambizione concettuale di Simon Costin.
La teatralità come chiave di lettura dell’evoluzione della moda risulta un tema quanto mai attuale ed invasivo. La New York Fashion Week, con la sua consueta spettacolarità, ci ha donato show degni di nota che hanno contribuito a scrivere una nuova pagina nella storia della moda. Opening Ceremony, Polo by Ralph Lauren e Gareth Pugh hanno presentato le loro visioni creative avvalendosi di nuove tecnologie e nuove semantiche. Il gap interposto tra l’universo creativo dell’artista e il suo pubblico va sempre più assottigliandosi in questo gioco continuo di domande su ciò che si addice ad un designer e sul come si potrebbe andare oltre. In tali contesti gli abitii finiscono per avere un ruolo secondario rispetto alla teatralità delle loro presentazioni, ma bisogna sempre tenere a mente che sono il punto di partenza di tale divagazione ma anche il punto di arrivo.
È così che Polo by Ralph Lauren ha deciso di presentare i look della sua SS 2015. Immaginate: Central Park al crepuscolo, una fontana e un quartetto d’archi; gli invitati scortati e accolti con pop-corn al caramello e drink. Giunta l’ora, la musica parte e proiezioni di modelle alte quanto un palazzo di quattro piani iniziano la loro amabile sfilata sul laghetto del parco. Un’atmosfera unica, un risultato d’impatto, un nuovo modo di collaborare con la tecnologia: si perde l’esclusività dello show per pochi, così tutti possono essere ammessi al banchetto. Un fashion-show diverso, in cui non è stato possibile vedere bene o toccare gli abiti, ma che ha regalato certamente una nuova energia al fashion presentation.
È così che Opening Ceremony ha deciso di presentare i suoi look SS 2015.
Pensate: Jonah Hill e Spike Jonze hanno creato per l’evento una commedia di un atto intitolata 100% lost cotton in cui i vestiti figurano quasi come costumi di scena. L’idea è stata sicuramente originale, lodevole il modo in cui la teatralità viene portata ai suoi estremi per presentare gli abiti in una location effettivamente teatrale, non più solo metaforica. Trenta minuti di rappresentazione satirica sulla moda, con una Elle Fanning da protagonista che interpreta Julie, una modella di 16 anni dell’Oklahoma alle prese con la sua prima sfilata e con le stramberie di una Carol Lim caricaturata. La presentazione è stata accolta nel gaudio totale, anche se non esente da critiche rivolte alla banalità della satira e al definitivo non-ruolo degli abiti.
È così che Gareth Pugh ha deciso di presentare i suoi primi look (SS 2015) a New York.
È stato difficile cogliere cosa realmente sia successo dalle parole di chi ha avuto la fortuna di assistere, tutte le testimonianze sembrano concordare sul fatto che questo show sia stato conturbante e primitivo ma allo stesso tempo tecnologico. Ha lasciato tutti senza fiato.
Sognate: un luogo scuro senza definizioni alcune di luoghi o posti a sedere, gli invitati confusi e snervati, il buio. Poi improvvisamente la luce: gli schermi si illuminano in varie parti dello spazio facendo accalcare il pubblico esterrefatto senza un ordine, senza parole. Immagini del cosmo si susseguono, tornado, nebbia, le modelle che sfilano con i loro abiti, i ballerini che si esibiscono dal vivo. Tutto è immerso in questa presentazione invasiva, in cui se vuoi il diritto a vedere e a capire cosa stia succedendo intorno a te, te lo devi conquistare, lo devi volere veramente. E’ tutta una questione di connessione.
Di questo passo dove arriveremo?
Riflettete: noi siamo quelli di Artwort e a noi piace farvi riflettere.