In un passaggio introduttivo ad una raccolta delle proprie opere, M.C. Escher descrive un momento della sua vita in cui si sentì cadere la benda dagli occhi. Il suo interesse, da quel momento in poi, non si sarebbe più limitato al perfezionamento dell’arte grafica, ma si sarebbe esteso all’indagine dei meccanismi complessi che regolano il mondo in cui viviamo.
“Mi vennero delle idee che non avevano nulla a che fare con l’arte grafica, immagini così avvincenti da far nascere in me il desiderio di comunicarle a tutti.
Ciò non poteva essere espresso a parole, perché non si trattava di pensieri trasferibili in parole, ma tipiche di immagini mentali, intelligibili per gli altri solamente attraverso l’immagine visiva.”
L’artista olandese inizia ad indagare su problemi di rappresentazione di qualsiasi tipo; dedica una serie di tavole al conflitto tra superficie e spazio: si stupisce della naturalità con cui la società occidentale traduce la tridimensionalità in bidimensionalità e viceversa, di come una rappresentazione convenzionale sembri invece ai più qualcosa di naturale.
“Non vi sembra assurdo, a volte, il fatto di disegnare un paio di linee e affermare: questa è una casa?”
Escher dedica tavole agli edifici impossibili, alle immagini riflesse, al passaggio tra superficie e spazio per esplorare molto più che i limiti di trasferimento dall’immagine mentale a immagine visiva. Egli esplora i cortocircuiti che interessano la pratica di mappare il reale, si occupa di paradossi e contraddizioni e lo fa in un modo che lo riconduce direttamente al mondo logico e matematico.
“Nel momento in cui sono aperto e sensibile nei confronti degli enigmi che ci circondano, considerando e analizzando le mie osservazioni, entro in contatto con la matematica.”
I matematici più illustri dei tempi di Escher erano alle prese proprio con problemi legati alla contraddizione e al paradosso, ma la maggior parte di questi, più che tentare di analizzare il paradosso, erano impegnati a rimuoverlo.
L’atteggiamento che Escher assume nei confronti di questi “effetti collaterali” del sapere non è ovvio, né scontato. Egli, al contrario di buona parte della cultura Occidentale, non tenta di rimuoverlo, né di risolverlo, né di ignorarlo.
Lo esaspera anzi, ce lo illustra in tutti i suoi minimi particolari, lo iper-realizza e ne sviluppa tutte le potenzialità. Indaga le principali chimere dell’intelletto umano e la capacità tipica della società Occidentale di produrre paradossi mentre è intenta a produrre sapere con mezzo geometrico e grafico. Intaglia nel legno utopie paradossali di infinito inseguite da laboriose formiche, scolpisce nella pietra l’autoreferenzialità cortocircuitale del binomio soggetto-oggetto, è capace di rappresentare con lucido calcolo le inquietanti crepe della nostra architettura concettuale, rivelandole per quelle che sono: crepe di costruzione.
Camminare tra le opere di Escher è camminare tra queste crepe illustrate. La mostra ospitata a Bologna da Palazzo Albergati si rivela un’ottima opportunità per tale passeggiata.
“Chi si meraviglia di qualcosa si rende consapevole di tale meraviglia.”