Sulla bellezza e unicità della metropolitana partenopea e delle sue Stazioni dell’arte è stato detto e scritto già tutto. I migliori critici hanno promosso alcune di esse come le più belle d’Europa se non del mondo.
Napoli, ai miei occhi, appare stanca e affaticata come una vecchia signora che spesso perde la memoria. S’incipria il naso, indossa i gioielli più preziosi ma dimentica d’avere l’abito con l’orlo scucito, perché sa che tutti guarderanno soltanto i suoi occhi e il suo incantevole profilo, senza badare alle imperfezioni del suo vestito.
La mia città è un groviglio di bellezze note e meno note, miste al fetore e alla rabbia della criminalità che tinge di rosso le sue strade.
Eppure, nella sua eterna contraddizione, nelle viscere della sua Metropolitana, Napoli possiede il più esteso museo d’arte contemporanea, un museo in continuo divenire.
Se gli architetti hanno progettato il contenitore e i numerosi artisti concepito i contenuti, chi invece attraversa ogni giorno le Stazioni dell’arte diventa l’inaspettato protagonista della metamorfosi di ogni installazione. Sì perché non è solo il tempo a usurarle e modificarle, ma è anche lo sguardo, ora attento, ora distratto dell’occasionale viaggiatore. Succede anche a me di cogliere particolari che mi erano sfuggiti in un precedente passaggio e ogni viaggio diventa una nuova scoperta e nuove emozioni da percepire.
È la bellezza che vuole prendere il sopravvento, è il colore che vuole stordire, è la consapevolezza della storia che, come magma, eiacula speranza dalle viscere della città.
È un pullulare di varia umanità quello che sfiora le opere con soggezione e rispetto, perché in fondo, l’essere circondati da strani e spesso discordanti bagliori di modernità, regala inconsciamente un senso di appartenenza a un presente sazio di storia e affamato di futuro.
Ma c’è una stazione che non è frequentata dai turisti, una fermata alla quale la cronaca giornalistica scende solo quando è chiamata dall’episodio criminale o per dare eco alle promesse di un politico-fantoccio.
Si tratta della stazione di Piscinola, quella che raggiunge il cuore della tanto vituperata Scampia. Qui, oltre al buio che striscia tra i palazzoni di rioni ultra-popolari, vivono persone che non vogliono cedere all’abbrutimento. La loro non è semplice resistenza ma è la sacrosanta dignità di gente che ha sognato ieri e che lotterà per i sogni di domani.
Soltanto nel 2013, con anni di ritardo e a seguito di una petizione popolare, anche la stazione di Piscinola è stata abbellita da opere d’arte meno note e ancor meno fotografate, ma che hanno un legame indissolubile con il territorio.
In quest’ultimo avamposto della metropolitana è possibile ammirare le riproduzioni di alcuni murales di Felice Pignataro, l’artista utopico che ha colorato i muri di Scampia con i suoi segni, i suoi soli, con i girotondi di bambini allegri e sempre sorridenti. È lui che ha creduto nella possibilità di un riscatto quando già tutti si erano arresi, è lui che con la sua caparbietà e la sua arte ha sfidato il grigiore delle pareti di questa assonnata periferia e ha iniziato una guerra di colori fendendo il cemento con pennellate nette e d’inequivocabile bellezza.
Felice Pignataro (Roma 1940 – Napoli 2004) era un Don Chischotte che, a cavallo della sua arte, credeva fermamente nella creatività come impegno sociale per riscattare il quartiere e dare una nuova speranza ai suoi abitanti.
Il murales come forma di comunicazione, il murales come forma d’arte incondizionata, condivisa, partecipata e visibile a tutti.
Oggi la vera arte di Felice Pignataro resta nello spirito delle persone che non hanno perso la memoria e continuano il suo lavoro, è nella forza e abnegazione dei volontari del GRIDAS (Gruppo Risveglio dal Sonno).
Il GRIDAS è il centro sociale fondato a Scampia nel 1981 da Felice insieme alla moglie Mirella e ad altri utopici sognatori, è un’oasi e una casa per chi crede che la bellezza può essere una maestra di vita. Una bellezza che invade le strade di Scampia ogni febbraio, perché qui, da 33 anni, si festeggia un Carnevale di quartiere molto speciale. Un carnevale che riempie gli stradoni di adulti e bambini, in cui danzano figure di cartapesta e strane maschere tutte colorate. È un appuntamento che ha dato una “tradizione” a un quartiere “senza storia”.
A margine, troppo a margine, sono le meravigliose opere di Felice Pignataro e tutto ciò che rappresentano.
La stazione di Piscinola, ora chiamata FELImetrò, non rientra nel percorso Metro Art ma penso che è da questo confine che dovrebbe partire il Grand Tour delle Stazioni dell’arte. Da Scampia, dove un figlio (seppur adottivo) di Partenope ha dato l’esempio e la speranza; dove l’utopia di un singolo si è trasformata in un sogno partecipato e vitale.
Invece Napoli, la bella Sirena, mette del filo spinato sugli occhi per non guardare, per non scorgere quell’orizzonte dove si consuma l’irrequieta lotta tra il bene e il male.
Il suo sguardo si perde nell’incantevole Golfo, è rivolto al sole che riscalda l’asfalto e riflette i fantasmi di cartoline ingiallite.
Ma per fortuna Napoli è popolata anche da tanti piccoli astri luminosi che hanno la consapevolezza di appartenere, nonostante tutto, a una terra fertile e Felice!
“Oggi l’arte è condannata a un’esistenza separata, perché la vita attuale è essenzialmente tragica. Ma in un lontano futuro, l’arte e la vita saranno una cosa sola…”
Piet Mondrian