Emile Barret è un artista francese nato a Les Lilas nel 1989. Dopo la laurea conseguita, nel 2012, all’Ecole Cantonale d’Art di Losanna e due anni di dottorato all’interno della stessa istituzione ha cominciato ed esporre i propri lavori in gallerie, musei e festival. Di formazione è un fotografo, particolarmente interessato ai risvolti antropologici della fotografia e alla lettura simbolica dei sistemi percettivi. All’inizio i suoi lavori erano fotografie analogiche di grande formato ma il desiderio di lavorare sulla stratificazione delle immagini alla ricerca di molteplici chiavi di lettura, oltre ad una innata poliedricità, lo hanno sempre più spesso portato a lavorare come artista visivo a tutto tondo, impegnato in molte collaborazioni di natura differente. Di lui si è cominciato a parlare dopo la vittoria di due importanti premi: quello al 28° festival di Moda e Fotografia di Hyères e lo Swiss Design Award. L’attenzione sull’artista francese di base a Losanna si è ulteriormente intensificata dopo l’esordio del progetto multimediale “Of Matter and Spirit”, realizzato in collaborazione con la musicista svizzera di origini nepalesi Aïsha Devi e Tianzhuo Chen, video maker ed artista cinenese. Dopo l’uscita della versione discografica su etichetta Houndstooth e del videoclip “Mazda”, il progetto è culminato con la realizzazione di un videogame immersivo che fungeva da preludio ad una performance audiovisiva il cui esordio ha raccolto molti consensi all’ultima edizione dell’Unsound Festival di Cracovia.
Se l’album è un viaggio sonoro che parla di una spiritualità post-umana, risuonando con mantra vocali, droni sacri, influenze minimal, scale mediorientali e rave culture, il videoclip riverbera quell’immaginario in chiave iconoclasta e surrealmente simbolica. Il videogame declina in ipertesto interattivo il viaggio trascendentale che rappresenta il plot narrativo di partenza, consentendoci di fluttuare in un universo distopico e straniante, capace di trascendere la dimensione materiale, l’abituale sistema percettivo tridimensionale a favore di un processo ricombinatorio techno-folk, basato sul concetto dell’ascensione Kundalini.
La versione performativa di “Of Matter and Spirit”, con Aïsha Devi ad eseguire le musiche ed Emile Barret a montare le immagini live, si appresta ad arrivare in Italia, precisamente a Firenze, in occasione di un evento curato da Disco_nnect Music e sponsorizzato da QVIN Florence al Teatro Puccini che ha tra i suoi protagonisti anche uno degli artisti chiave della scena musicale di Detroit, DJ Stingray e uno dei più talentuosi nomi emersi dalla scena musicale italiana degli ultimi anni, Herva. Ne abbiamo approfittato per intervistare l’artista francese.
Ci racconti qualcosa del tuo background artistico?
Di professione faccio il fotografo. Sono un membro del progetto Hors Pistes Projet & the Gray Art Motel e un musicista con una passione particolare per la MusicForEggplant. Ho studiato Comunicazione Visiva all’ECAL di Losanna e ho lavorato lì come assistente di Milo Keller per la realizzazione di junk-museum, libri e workshop. Dopo quelle esperienze ho cominciato a collaborare con ogni persona capace di condividere, in maniera olistica, neuroni con me.
Come è nata la collaborazione con Aïsha Devi e Paul Barret per la versione videogame di ‘Of Matter and Spirit’?
La prima volta che ho incontrato Aïsha è stato per la realizzazione delle immagini stampa legate al disco. Le ho scattato le foto ma poi ho cominciato a giocarci con il mio smartphone e dato che avevo appena finito di realizzare il mio primo videogioco autoprodotto ho ibridato tutto. Ho cominciato a comporre i rendering 3D con le fotografie che avevo fatto a lei e ai suoi oggetti, poi ho effettato tutto attraverso un processo molto glitch. Il materiale risultante è diventato prima la copertina del disco e, dopo aver lavorato intensamente con mio fratello per la costruzione degli scenari di gioco e del sound design, un gioco attraverso il quale interagire visivamente con la musica.
Cosa ti ha portato dalla fotografia alla progettazione di opere interattive?
Ho sempre voluto imparare cose nuove ed esplorare. Credo che il gaming sia uno dei migliori medium per condensare musica, fotografia, video, disegni… con una infinità di spazi e scale, capaci di indurre sensazioni fisiche e mentali al contempo. Ma in questo contesto mi considero ancora un dilettante. Con lo sviluppo del live show il progetto ha acquisito ulteriori dimensioni di sviluppo e questa è stata l’occasione per sperimentare una chiave narrativa che normalmente viene trascurata nel contesto del VJing.
Quali sono le similitudine e quali le differenze tra la versione giocabile e quella alla base della performance?
Il videogame è un oggetto fissato, per quanto interattivo e navigabile, mentre la versione performativa è continuamente cangiante. Per accompagnare il live di Aïsha uso una versione del gioco pensata per diventare un set audiovisivo. Giocando dal vivo reagisco in tempo reale al suono, creo esplosioni, rallentamenti delle sequenze visive, etc… Dalla collaborazione con Aïsha e Tianzhuo Chen ho avuto accesso ai film dell’artista cinese e ottenuto la possibilità di remixarli. Una volta che li ho inseriti nella programmazione del gioco ho provato a immaginare una narrazione che si potesse sviluppare a partire dalla loro manipolazione. Poi con Aïsha abbiamo aggiunto molti elementi che scattiamo e giriamo nei paesi toccati dal nostro tour. Anche il set-up di proiezione cambia ad ogni show e quindi il progetto si adatta, ogni volta, alle diverse condizioni ambientali. Nel nostro live per il Mutek di Montreal, per esempio, abbiamo avuto a disposizione due schermi panoramici per ogni lato della sala sui quali sono andato a distribuire varie camere e contenuti partendo dalla stessa applicazione.
L’album di Aïsha Devi è profondamente spirituale. Come hai tradotto la sua musica in immagini e forme interattive?
Usando simboli universali e sequenze legate a visioni oniriche.
Come sei arrivato a portare la dimensione virtuale nel lavoro audiovisivo?
Utilizzando la piattaforma Unity (un sito e un software che permettono di sviluppare giochi senza particolari conoscenze di programmazione – ndt) e un bel po’ di intuizione.
Il sound design sembra una parte molto importante del vostro progetto…
È stato mio fratello Paul Barret ad occuparsene. Aïsha ci ha fornito le varie parti delle quali si compongono i suoi pezzi. Noi abbiamo immaginato che queste diventassero come dei veri attori del gioco, che il giocatore potesse muovere nello spazio. È proprio il suono che regola la progressione del gioco e ti conduce come una guida all’interno dei suoi meccanismi narrativi.
Come hai lavorato per interpretare visivamente l’evoluzione kundalini che è una delle chiavi narrative del progetto?
Usando gradienti di colore e forme simboliche collegate ai vari Chakra. Per fare questo è stato fondamentale condivider con Aïsha alcune esperienze meditative.
Aïsha Devi ha descritto la vostra collaborazione come una trappola felice. Tu come la racconteresti?
Come il fortuito risultato della creazione nata in una famiglia neo-shamanica di menti aperte?
di Andrea Mi