Adriano Nicoletti illustra con le sue immagini la monumentalità del Cimitero di Parabita, al centro dell’entroterra salentino, sottolineando l’importanza di salvaguardare e restaurare questo affascinante complesso architettonico concepito come un insieme di edifici in relazione tra loro grazie ad un disegno unitario. Il Cimitero Nuovo, come viene denominato dai parabitani per distinguerlo da quello storico che è adiacente, è di fatto da anni un cimitero caduto nell’oblio che attende di essere rivalutato e riportato all’attenzione internazionale.
Già nel 2002, in un convegno organizzato dall’Associazione “Progetto Parabita” nel ventennale dell’inaugurazione, si era evidenziata l’urgenza di un intervento di ristrutturazione ma da allora nulla è stato fatto e, purtroppo, avanza inesorabile lo stato di abbandono. Il degrado attuale deriva da un mancato piano organico di manutenzione tanto che una parte del cimitero è stata interdetta al pubblico.
Progettato nel 1967 da Alessandro Anselmi e Paola Chiatante del Gruppo GRAU, Gruppo Romano Architetti Urbanistici di Roma, e inaugurato nel 1982 ha immediatamente acceso l’attenzione di architetti e progettisti, suscitando ampi ed accesi dibattiti. Costruito in cemento armato e carparo, pietra calcarea tipica del Salento i cui componenti le donano un colore ed una struttura uniche, gran parte del suo fascino è anche dovuto alle sfumature di graduate tonalità che fondono nel paesaggio un’architettura imponente la cui pianta simboleggia un capitello corinzio.
Leggiamo da un testo dello Studio di Architettura Anselmi & Associati:
“Il cimitero di Parabita rappresenta una delle prime architetture dove riaffiora la memoria della storia dopo l’oblio modernista e dove il “luogo”, sia fisico che simbolico, torna a essere determinante degli esiti morfologici. Per questa ragione il cimitero appare come “architettura non finita” e come un insieme di frammenti in eterna attesa di un nuovo inizio.”
Adriano Nicoletti ha percorso, nel 2016, un viaggio silenzioso in spazi delimitati da forme geometriche che si intersecano, spazi prospettici definiti da tagli di luce che, mutando, ridisegnano l’architettura, angoli nascosti da scoprire in una continua e mutevole rivelazione di un cimitero che pare un teatro.
Un tragitto rinserrato tra muri luminosi, tagliati da fessure profonde dove alla luce, a volte, è interdetto entrare, muri possenti che lasciano intravedere paesaggi del loro stesso colore.
Scriveva Alfonso Acocella in “Architettura di pietra”:
“Ed è un alto setto murario, dall’andamento sinuoso, a chiudere, a valle, il lungo fronte urbano del cimitero di Parabita. Ancora muri, avvolti a spirale, per incidere nel declivio più a monte i percorsi sepolturali semi-ipogei che attingono, nel disegno planimetrico dell’impianto, alle volute simmetriche di un capitello composito.”
Le immagini di Nicoletti ci restituiscono tutta la rigorosa maestosità e la classicità di una architettura che Paolo Portoghesi definì “Una delle testimonianze più alte e persuasive di una originale “via italiana” verso l’irreversibile distacco dall’ortodossia modernista”.
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