Louis Kahn affermò una volta che Le Corbusier era un continente: era necessaria un’intera vita per esplorarlo.
Oggi con lo stesso spirito, con la stessa umiltà, e purtroppo con molto meno talento, desidero raccontare e descrivere, al fine di interessare e non istruire, quella che per me in primis è stata un’incredibile scoperta: il cimitero di Lyngby di Alvar Aalto.
Mi sono sempre vantato di avere una grande conoscenza del maestro finlandese, per la mia giovane età, e durante delle ricerche, imbattendomi nelle sue architetture cimiteriali, ho percepito una sensazione di meraviglia e stupore; come potevo esserne all’oscuro? Come potevo non saperne nulla?
Alvar Aalto è per me, e spero ancora per molti, un continente ancora parzialmente da scoprire, da analizzare, i cui territori ancora inesplorati sono ricchi di sapere e bellezza.
Il cimitero di Lyngby, si inserisce nel filone di architetture cimiteriali, inaugurato dallo Skogskyrkogården di Stoccolma di Asplund e Lewerentz, che si distacca dalla retorica del cimitero monumentale, ricollegandosi alla tradizione romantica e pre-romantica del cimitero-paesaggio.
Nel 1952 il comune di Lyngby Taarbaek emette un bando per la realizzazione di un cimitero, a cui Aalto partecipa insieme ad un architetto locale J.J.Baruel.
La città dei morti nasce dal sito, così come si presenta: Aalto sfrutta i pendii per la sistemazione delle lapidi, e pone a corona di questi, come un’acropoli, le cappelle funerarie.
La combinazione di volumi e orografia, crea una paesaggio costruito; l’ipotesi di progetto presta particolare attenzione alla sistemazione delle tombe, con l’inserimento di percorsi e itinerari, cercando costantemente una dialettica con la natura del luogo.
Aalto progetta una composizione di percorsi per i cortei, dalle tombe alle cappelle, e di percorsi d’acqua paralleli a questi.
I percorsi d’acqua del cimitero trovano una giustificazione evocativa, rappresentando il naturale corso dell’esistenza, e conservativa, servendo da sistema di irrigazione per le tombe.
Il concorso, si divideva in due sezioni, e il progetto per le cappelle prevedeva due ipotesi differenti: nella prima, la vallata delle urne, le cappelle venivano disposte e orientate verso percorsi intimi e privati, dai luoghi del rito ai luoghi della sepoltura, cercando di evitare ogni tipo di contatto tra i vari cortei funebri; nella seconda alternativa, la città dei morti, erano previsti due cortili di accoglienza, uno per ogni cappella, in modo da rendere possibile lo svolgimento di due funzioni contemporaneamente, senza reciproche interferenze.
Le cappelle erano inoltre collegate al crematorio, dove i morti venivano portati dai vivi, invece che da un sistema meccanico.
I piccoli sacrari erano stati progettati in materiali ceramici, con inserimenti di arenaria intorno alle finestre.
La luce naturale, viene studiata per entrambe le cappelle: in quella maggiore un grande lucernario provvedeva all’ingresso della luce, mentre nella cappella minore il catafalco diveniva il fulcro dello spazio interno,e su questo insistevano dei fasci di luce zenitale filtrati da piccoli cannoni di luce.