La seconda edizione di Conversazioni Video, il Festival internazionale di documentari su Arte e Architettura ospitato nella Casa dell’Architettura nell’ambito del Festival Internazionale del film di Roma tenutosi dal 16 al 25 ottobre, ha premiato quest’anno in qualità di Miglior Documentario per la categoria “Visioni Periferiche” il docufilm Birdwatching.
20 il numero dei film in gara, suddivisi nelle categorie “Arte”, “Architettura” e per la prima volta, appunto, “Visioni Periferiche”, sezione speciale incentrata sui temi dell’espansione delle città e dei loro confini, delle periferie reali e delle periferie ideali e sulle nuove modalità di fruizione degli spazi urbani: questioni scottanti del vivere quotidiano in rapidissima evoluzione, al punto da sentire l’esigenza significativa di distinguerle dall’ambito definito più genericamente come “Architettura”.
Il cortometraggio vincitore è stato prodotto nel 2011 dallo studio di design consultant blueforma: la questione riguardo il tema della città viene filtrata attraverso l’intervento di figure diverse appartenenti ad altrettanti ambiti disciplinari. Il quadro che ne emerge, seppur dipinto attraverso gli occhi dell’architetto, dello scenografo, del politico o del sociologo, risulta piuttosto coerente, a testimonianza del fatto che impressioni, visioni e inquietudini sulla città d’oggi nascono da un sentire comune.
È significativo che le figure più calate nelle tematiche trattate, l’architetto e il designer, vengano poste rispettivamente all’inizio e alla fine del video. I 29 minuti sono percorsi dalle immagini un po’ disturbate, indistinte ̶ blurred, direbbero gli inglesi ̶ di città che se non fosse per qualche landmark o qualche scritta in una determinata lingua, sarebbero ugualmente indistinguibili l’una dall’altra. A dispetto del titolo che fa riferimento a una pratica che consiste nell’osservazione degli uccelli nel loro ambiente naturale, le riprese, ora “a volo d’uccello”, ora con inquadrature più nel dettaglio, danno come l’impressione che a registrarle sia stato un volatile con un occhio meccanico durante il suo volo migratorio, un uccello in osservazione della città nel suo ambiente naturale, ovvero artificiale.
Al contempo, l’architetto Renato Nicolini, il compositore Giorgio Battistelli, il sociologo Alberto Abruzzese, lo scenografo Dante Ferretti, l’assessore Angela Barbanente e il designer Enzo Mari si esprimono sull’immagine di un paesaggio urbano che non può essere progettato a priori, ma che comunque, al fine di garantire una certa qualità di vita, non può prescindere da una figura ̶ non sempre l’architetto è abbastanza preparato ̶ che sappia fare da regista delle dinamiche coinvolte attraverso un approccio multidisciplinare, necessario a trattare una contemporaneità sempre più complessa e intricata eppure, secondo le parole dei personaggi coinvolti, sempre più carente di queste figure flessibili, a fronte di un’eccessiva specializzazione, una progressiva incapacità di percepire la realtà con nessun altro senso se non la vista, un vivere in cui la “protesi” tecnologica non è più uno strumento di cui l’uomo si serve, ma un essere a sé stante che si serve dell’uomo.
“Non credo che le nuove tecniche digitali contribuiscano a cambiare molto l’aspetto delle città. È finita l’età di Gehry. Inizia un’età inaugurata dal Centre Pompidour di Renzo Piano, ovvero in cui le parti funzionali siano a vista“, afferma Renato Nicolini. Probabilmente le parole dell’architetto sarebbero risultate più incisive se a Gehry avesse opposto un architetto con più di 8 anni di meno, ma se l’intento è quello di auspicare un futuro prossimo in cui l’architettura della città, e non solo dell’edificio, sia segnata da una maggiore chiarezza ed efficienza, pare che in questo senso si stiano muovendo proprio le ultime tecnologie, le stesse che “schiavizzano” l’uomo.
Presumibilmente un’App non cambierà l’immagine fisica del contesto urbano, ma basti pensare ai risultati pratici di applicazioni che permettono di localizzare le piazzole di bikesharing o di acquistare biglietti per il trasporto pubblico, risparmiando sulla carta. Ogni giorno i dispositivi elettronici di cui facciamo utilizzo immagazzinano una quantità di dati che, se sfruttati con intelligenza, possono aiutarci a dar forma alla città del futuro, indicandoci dove c’è carenza di servizi o dove c’è un eccesso di congestione. La tecnologia non è cattiva di per sé, ma nell’uso sbagliato che se ne può fare, quell’uso per colpa del quale, secondo le parole di Battistelli mutuate a Roland Barthes, “abbiamo perduto la conoscenza per l’informazione“.