Figura singolare all’interno del panorama internazionale dell’architettura contemporanea, Anne Holtrop, classe 1977, si è laureato con lode nel 2005 all’Accademia di Architettura di Amsterdam. Oltre che dirigere un master al Sandberg Instituut Amsterdam, e dal 2005 al 2013 la rivista indipendente, internazionale e peer-reviewed OASE, è a capo dello studio omonimo. Attualmente ha sede ad Amsterdam e nel Regno del Bahrain, stato del Golfo Persico di dimensioni piccole ma orgogliosamente rivestito di un ruolo di spicco quale capitale culturale del mondo arabo, come emerso negli ultimi anni anche dai riusciti interventi in diverse manifestazioni internazionali. Si pensi al 2010, quando il paese vinse il Leone d’Oro alla sua prima partecipazione alla Biennale di Architettura di Venezia.
Proprio per il Bahrain, Holtrop ha progettato la sua opera finora più nota, Archaeologies of Green, il padiglione per Expo Milano 2015 vincitore, alle spalle di quello francese, del secondo premio come miglior proposta al di sopra dei 2000 metri quadri. Concepito a quattro mani con la paesaggista Anouk Vogel come un’oasi di alberi da frutto tropicali, il padiglione figurava certamente tra i pochi a distinguersi per eleganza e discrezione in mezzo al sovrannumero di pretenziosi artefatti al limite del circense. La rigidezza del bianco rettangolo in cemento prefabbricato che racchiude la pianta dell’edificio è scalfita da una serie di muri curvilinei, il cui disegno è ispirato ad alcune rovine archeologiche del paese. Corti e spazi chiusi si alternano sinuosamente, dando al visitatore la possibilità di scoprirli secondo un’infinita possibilità di percorsi che conducono dall’esterno verso l’interno della struttura. Questa relazione tra interno ed esterno, assieme all’importanza rappresentata dal percorso nella sua capacità d’introdurre diverse modalità di fruizione degli stessi, costituisce un elemento ricorrente in diverse realizzazioni dell’architetto.
Il lavoro di Holtrop si configura come un’investigazione molto personale. “I am interested in a possible architecture“, afferma in un articolo in cui spiega il suo modo d’intendere l’architettura pubblicato nel numero 90 di OASE, dal tema What is good architecture. Ciò che fa architettura, per l’autore, non è la semplice risposta ad una richiesta di tipo programmatico-funzionale: se una domanda implica una risposta univoca e precisa, ciò che egli tenta di fare è invece “suggerire” un’architettura, lasciare ogni soluzione libera di (re)interpretazione, prendendo a riferimento le macchie di Rorschach. Ovvero il famoso test psicologico che induce il soggetto ad associare un certo significato a quella che in realtà è solo una macchia d’inchiostro. Per fare ciò Holtrop lavora in maniera intuitiva interrogandosi e interrogando la forma e la materia con cui lavora. L’intuizione, la “macchia d’inchiostro” da cui parte, è spesso qualcosa che non ha a che fare con l’architettura e che cerca di rielaborare in modo da renderla consistente in termini di spazio:
“Things can always be seen as architecture”
Trail house è un’installazione messa a punto nel 2009 per l’esibizione Unknown Territory per il Museum De Paviljoens, ad Almere. Definita come un “walkable model of a house”, nasce come un esperimento, un gioco atto a provare quanto sia possibile rendere abitabili degli spazi non convenzionali. La pianta ricalca una serie di sentieri creati spontaneamente dai pedoni sul terreno. La casa, priva di alcuna partizione interna, suggerisce un abitare che si fonde e confonde con il paesaggio circostante, nel quale la distinzione tra gli spazi coincide con il flusso di percorrenza stesso da un ambiente all’altro, l’unico elemento di filtro tra le unità funzionali che la compongono.
Dal concetto di ricalco delle linee del paesaggio, qui indagato attraverso un progetto di piccola scala, prende le mosse anche uno degli interventi più consistenti a cui queste piccole commissioni hanno aperto strada, il recente Museum Fort Vechten, a Bunnik, nei pressi di Utrecht. Parte del progetto di trasformazione paesaggistica della linea d’acqua olandese, una porzione di territorio compresa tra Amsterdam e Utrecht, inondata per scopi difensivi in periodo di guerra. Il museo si manifesta come una linea in cemento armato dalle forme organiche impressa nel terreno, all’interno del quale si apre una corte che ospita un modello della Waterline lungo 50 metri.
Batara (four walls) è un padiglione realizzato per Re(Source), decima esibizione internazionale nell’arboreto Belmonte, in Olanda. Ispirato dal sito archeologico di Petra, in Giordania, il padiglione ne imita l’idea di creare un’architettura per sottrazione di materia, piuttosto che per assemblaggio. L’intera fase progettuale è stata portata avanti lavorando esclusivamente su modelli in scala, elaborati colando gesso pigmentato in cavità realizzate in un contenitore pieno di sabbia. Le forme ottenute sono poi state tagliate a secco, per ricavare aperture, e assemblate nel modellino finale realizzato in situ con la stessa tecnica, in scala reale.
L’importanza del modello, investigato anche attraverso un altro numero di OASE per il quale lo stesso Holtrop ha collaborato nella stesura dell’editoriale, emerge nei suoi lavori come aspetto essenziale del progetto: dall’elaborazione di modelli di studio a quelli fini a se stessi, come la Torre Modello. I progetti, ci tiene a sottolineare, non hanno nulla di minimalista:
“Mi piace rendere [i progetti] come edifici mono-materici. In questo modo hanno questa sorta di aspetto da maquette, anche se sono in dimensione reale. […] Solo perché è ridotto non significa che sia minimal. Non voglio che il mio lavoro sia minimalista nel senso che sia reso con una quantità minima di strumenti, perché a volte ridurre significa dover aggiungere altre cose per farlo apparire così.”