La Biennale di Architettura di Rem Koolhaas assume come proprio titolo Fundamentals : una Biennale che, stando alle parole del direttore, tiene le distanze dalla prepotente figura dell’architetto e torna a rivolgere l’attenzione all’architettura, sviscerata nei “fondamenti” ̶ o fondamenta ̶ che la compongono: porta, finestra, muro, facciata, tetto.
Questa la prima parte delle cose da non perdervi e presto la seconda parte.
01 – Pompeii, the secret museum and the sexopolitical fundations of the modern european metropolis, a cura di Beatriz Preciado. Un telo stampato su ambo i lati mette in relazione lo spettacolo e i simboli della moderna metropoli europea con la realizzazione di wunderkammer di curiosità e reperti a sfondo erotico alimentati dai primi scavi archeologici, come testimoniato dal Gabinetto Segreto tuttora presente al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Interessante come diverse installazioni riguardanti il sud Italia condividano questo approccio “freudiano” e contribuiscano a proporre un’interpretazione del patrimonio del Meridione non necessariamente appesantito da ovvie diatribe su degrado e abusivismo edilizio.
02 – 99 Dom-Ino, a cura di Space Caviar. Una proiezione indaga come il modulo Dom-Ino di Le Corbusier, da studio innovativo sia diventato il prototipo dello sviluppo di piccola edilizia abusiva che costella le regioni meridionali.
03 – L’Aquila’s post-quake landscapes, a cura di Andrea Sarti e Claudia Faraone. Una disamina delle ferite ancora visibili sul paesaggio attraverso testimonianze fotografiche raccolte a distanza di cinque anni dall’evento sismatico.
04 – Space Electronic: then and now (Firenze). Catherine Rossi rivisita l’apertura, ad opera del collettivo di radicali Gruppo 9999, della celebre discoteca, allora teatro dell’avanguardia nei campi di architettura, musica e teatro, oggi tuttora in vita sebbene, esaurite le energie della sperimentazione, ne resti solo la trovata commerciale
05 – Groundfloor crisis (Firenze), a cura di Matteo Ghidoni. Due mappe rispettivamente di Firenze e Venezia all’epoca delle alluvioni del ’66 mettono in parallelo catastrofi naturali e crisi immobiliari.
06 – Superstudio. the secret life of the continuous monument (Firenze). Gabriele Mastrigli ripropone un’installazione ad opera di uno dei gruppi protagonisti delle neo-avanguardie, i Superstudio, La moglie di Lot, che espone modellini in sale di alcune architetture simboliche della storia nazionale all’erosione lenta e costante di una goccia d’acqua. La critica radicale al Movimento Moderno compara qui l’effetto dell’acqua sul sale a quella del tempo sull’architettura. Una sorta di “memento mori” come monito all’architettura: “ricordati che devi morire”.
07 – Biblioteca Laurenziana, a cura di AMO, Charlie Koolhaas, Rem Koolhaas, Manuel Orazi. Gli intenti della Biennale vengono ricercati nella prima opera in cui Michelangelo si cimenta nell’architettura, estrapolando in maniera personale e mettendo in crisi gli elementi del linguaggio architettonico.
08 – Nightiswimming: discotheques in Italy from the 1960s until now (Riccione), a cura di Giovanna Silva. Se già in Space Electronic si volge un occhio all’aspetto avanguardistico di una discoteca storica, l’installazione in questione amplifica questo sguardo proponendo un excursus sui luoghi cardine dell’evoluzione sociale, culturale ed economica italiana negli ultimi 50 anni, da fulcro della sperimentazione a teatro del divertimento inteso nel senso più edonista del termine.
09 – Dancing around ghosts – Milano Marittima’s pamen et circensem, a cura di de Gayardon Bureau. Il teatrino del centro turistico allo stato puro, ovvero la macchina del divertimento per eccellenza in contrapposizione all’incuria e all’abbandono che si porta dietro.
10 – Urbs oblivionalis. Urban spaces and terrorism in Italy (Bologna), a cura di Roberto Zancan e Elena Pirazzoli. lo spazio interposto tra due grandi cerchi riportanti la provocatoria domanda “Che ne direste se una mattina vi svegliaste e non trovaste più la torre di Pisa?” ospita un itinerario tra atti terroristici e relativi memoriali, interpretazione dell’eterno dilemma dell’elaborazione del lutto: come costruire un monumento e continuare la vita ordinaria?
11 – The landscape has no rear (Reggio Emilia), a cura di Nicola Russi. La contrapposizione tra i tempi accelerati della stazione dell’Alta Velocità di Calatrava a Reggio Emilia e quelli lenti della campagna che la circonda, riflessi in specchi posti in diversi punti della stazione, pongono l’accento sulla necessità di pensare ad un paesaggio integrato e a tutto tondo, senza retri.
12 – Tortona stories (Tortona), a cura di Brendan Cormier e Fabrizio Gallanti. Una vecchia credenza con specchiera, come quelle che ritroviamo nelle case di campagna delle nonne, raccoglie guide, cataloghi, leggi, articoli di giornale e oggetti vari che raccontano la relazione tra forze economiche, amministrative e culturali e l’aspetto del territorio rurale di Tortona.
13 – Countriside worship (Fiorenzuola). Matilde Cassani mette in evidenza la velocità di certi processi sociali rispetto alla lentezza dei piani regolatori, mostrando una Pianura Padana trasformata e vagamente straniata in occasione del raduno annuale di migliaia di Sikh per un festival religioso promosso da una comunità che ha stabilito diversi templi sul luogo.
14 – Architecture of fulfilment: a night with a logistic worker (Castel San Giovanni), a cura di Behemoth. I minuziosi disegni di Eva Le Roi e Lei Mao danno adito a quegli spazi di “backside” che pure sono oggetto di architettura, ipotizzando la giornata tipo di M., una lavoratrice del turno notturno nel magazzino di Atacama, un’ipotetica multinazionale del commercio online.
15 – The business of people (Torino), a cura di Ramak Fazel con Francesca Picchi, ccrz, Nico K. Tucci, Ghila Valabrega. Una sorta di “cappella” per raccontare il lavoro delle persone nel piemontese attraverso una serie di fotografie che si ricollegano all’attività di monitoraggio della variazione di indicatori economici cui è sottoposta l’industria. Al centro del “santuario” una stampa a effetto ottico che da una certa distanza rivela Marchionne, posto al centro tra un dagherrotipo e un kilometro stampato su un foglio di manzoniana memoria. Al centro della stanza, dei listelli di legno scandiscono le tappe di una giornata lavorativa in un impianto industriale.
16 – Sales oddity. Milano 2 and the politics of direct-to-home tv urbanism (Milano), a cura di Andrés Jaque/office for political innovation. Un salto nel 1970 per ripercorrere la realizzazione, ad opera dell’allora emergente imprenditore Berlusconi, del Milano 2 in cui s’invitavano i milanesi benestanti a trasferirsi lontano dai miasmi e dalla promiscuità della città. La pubblicità del super-condominio rappresenta l’embrione di quella televisione affermata dal berlusconismo, in cui i salotti degli italiani diventano gli appendici del sistema di un seducente modello di consumi.
17 – Z! Zigonia mon amour (Zigonia), a cura di Argot ou la Maison Mobile, Marco Biraghi. A Milano 2 si contrappone il caso della fondazione della città di Zigonia, condensatore di utopie urbanistiche radicali e visionarie, raccontata attraverso una raccolta di documenti, articoli, fotografie e un grafico che compara la condizione economica del paese incrociando diversi parametri, a partire da Alcide de Gasperi fino a Matteo Renzi.
18 – Italian limes (Similaun), a cura di Folder. L’Italia è tra i pochi paesi continentali delimitato da confini naturali e in quanto tale è soggetta al loro costante e naturale spostamento, a causa del quale è stata recentemente introdotta la definizione di “confini mobili”. Tale spostamento è suggestivamente rappresentato su poster a disposizione dei visitatori da un braccio meccanico collegato ai segnali di cinque GPS posti in loco. Per un maggiore approfondimento, leggi qui.